Dimenticati nel mare nostrum

L’UNHCR ha riportato il 10 luglio l’intervista all’unico superstite dell’odissea di una barca di migranti partita a fine giugno da Tripoli al fine di raggiungere Lampedusa  con 55 persone a bordo e ritrovata, dopo 14 giorni alla deriva, in acque territoriali tunisine. Secondo il sopravvissuto,di origine Eritrea, “non c’era acqua a bordo e la gente ha iniziato a morire di disidratazione in pochi giorni”. Il superstite ha indirizzato più volte la domanda “Come è possibile che in un mare come il Mediterraneo che è pieno di pescherecci, navi mercantili, navi da guerra, queste persone siano state lasciate al loro destino’”

Un’escalation post Primavera Araba

Lo Spazio della Politica ha già contribuito al dibattito sulle consequenze della guerra civile in Libia e le evoluzioni della Primavera Araba. Il Mediterraneo è uno dei mari più trafficati del mondo, e allo tempo stesso uno dei piu’ monitorati. Ciò nonostante, nel 2011, è stato rinvenuto da Fortress Europe che circa 2000 persone abbiano perso la vita tentando il disperato attraversamento dall’Africa del nord al sud d’Europa. La Primavera Araba e la conseguente instabilità politica nell’area MENA ha avuto un forte impatto nel determinare nuovi flussi migratori clandestini dal sud al nord del mare nostrum, spesso con consequenze tragiche.  In particolar modo una vicenda che è stata poi frutto di un’investigazione ufficiale iniziata da Tineke Strik, rapporteur del Committee on Migration, Refugees and Displaced Persons del Consiglio d’Europa, ha messo in luce una serie di buchi neri legali che rendono la gestione di tali flussi una vera e propria macchina di tragedie e speculazioni politiche sui diritti e doveri di tutte le autorità coinvolte. L’episodio precedentemente menzionato rappresenta solo un caso tra i 30.000 profughi che nel 2011 hanno tentato questa scommessa tra la vita e la morte nella speranza di raggiungere una vita miglore, piu’ promettente delle carestie, dittature e discriminazioni dell’Africa SubSahariana.

La storia (recente) si ripete

Data la relativa mancanza di copertura dei media (con eccezioni particolari da parte del Guardian e BBC),  il report graffiante conseguente all’investigazione di Strik mette in luce una serie di imperdonabili mancanze di azione da parte di diverse autorità.  Il 27 marzo 2011, durante un’operazione militare NATO autorizzata dalle Nazioni Unite in Libia, un gommone con 72 migranti (alcuni dei quali bambini) si stava dirigendo da Zlitan verso Lampedusa quando è entrato in difficoltà per mancanza di carburante cibo e acqua. Il “capitano” del gommone ha contattato via satellite un prete Eritreo residente in Italia che ha prontamente avvisato la Guardia Costiera. Le autorità italiane hanno informato la NATO che ha immediatamente inviato ripetuti messaggi di “nave in pericolo” (distress call) via satellite a tutte le imbarcazioni nelle vicinanze. Fatto sta che un elicottero (non identificato) ha approcciato l’imbarcazione ed offerto acqua e biscotti (italiani ndr) per i migranti senza poi far più ritorno per un effettivo soccorso e senza riportare l’accaduto alle autorità su terra. Si legge nel report anche che una nave da guerra spagnola la Mendez Núñez è passata a 11 miglia dalle prossimità della barca e che varie navi di pescatori  siano state intraviste dai migranti.

Diritti e doveri

Su chi ricadono le responsabilità dell’acccaduto? Alla presentazione del report si è messo in chiaro che tra le tante frontiere marittime e delimitazioni nel mare Mediterraneo, una delle più importanti è la Search and Rescue Zone (SAR) le aree stabilite nel quadro di ricerca marittima internazionale e lla International Maritime Search and Rescue Convention (SAR Convention 1405 UNTS 118, e successive modifiche). Anche se questo incidente ha avuto luogo nella SAR libica, il governo italiano, che aveva prima ricevuto informazioni circa la chiamata di soccorso, era in obbligo di coordinare ed implementare l’operazione di salvataggio. In realtà, il governo italiano oggi ha riconosciuto la sua responsabilità per gli eventi.Il Ministro Riccardi ha dichiarato che il governo “accetta la responsabilità per accaduto”, aggiungendo che questi fatti lo avevano “toccato molto” e che devono provocare un ripensamento sostanziale delle politiche migratorie. Le conseguenze giuridiche di questa assunzione di responsabilità sono importanti: l’Italia dovrà ora procedere immediatamente alla ricompensazione dei sopravvissuti ed alle famiglie delle vittime per le sofferenze causate dalla violazione dei suoi obblighi internazionali. Anche se lodevoli, le scuse ministeriali non sono certo sufficienti.

Seguendo le parole di Simon Cox , Migration Lawyer presso la Open Society Foundation, alla presentazione del report, è oggi fondamentale necessaria una presa di posizione decisa da parte soprattutto dalla Commissione e del Consiglio europeo. Il soccorso rappresenta infatti solo una prima fase della gestione dell’emergenza. Tutt’oggi mancano totalmente politiche efficienti di burden-sharing per ciò che riguarda l’accoglimento e la gestione del flusso migratorio di rifugiati e ricercatori di asilo una volta entrati nell’Unione. Volgere lo sguardo al di là del problema puntando il dito contro i paesi che per ovvi motivi geografici debbono affrontare quest’emergenza non risolve la situazione ma la rende ineccepibilmente insostenibile.

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