Tale unione è spesso vista dalla Germania come un prerequisito fondamentale ad altre forme di integrazione mentre la Francia la vede come un prodotto finale. Il quartetto Van Rompuy-Barroso-Draghi-Juncker cerca di preparare la sinfonia ma la direzione della banda manca ancora di un direttore determinato e solido. La sfida per i “compositori” si riduce all’affrontare la questione della “sequenza” (è l’unione politica l’uovo o la gallina?) ed allo stesso tempo convincere investitori e società civile che i benefici dell’unione sono più alti dei costi politici ed economici che ne derivano.
Political union for dummies
“Europe cannot be a little bit pregnant as it is now”. Le parole di Julian Lindley-French sono più attuali che mai e la struttura decisionale e mutualizzata dell’Unione Europea odierna sembra progressivamente allontanarsi dai principi di governabilità indotti dal trattato di Maastricht e seguenti revisioni.
L’unione politica si dovrebbe basare su 4 pilastri principali:
- Il metodo comunitario
- La centralità della Commissione Europea
- Poteri centrali limitati ma effettivi
- Legittimazione democratica
Nonostante il notevole parlare dell’implementazione di un’unione politica europea, le azioni degli stati membri e delle istituzioni comunitarie sembrano comunicare un senso di inadeguatezza cooperazionale al riguardo. Ciò sembra palese quando ci si trova ad analizzare le reazioni dei mercati che, nonostante i passi avanti fatti a livello di riforme come ad esempio il meccanismo anti-spread, non percepiscono tali azioni come sufficienti e degne di fiducia nel lungo termine.
Chi dovrebbe dunque progettare questa nuova narrativa europea e chi dovrà caricarsi dell’onere di implementare questo progetto? Il protagonista di questa idea deve essere la Commissione con il supporto dei major players del motore d’integrazione ossia Francia e Germania. È infatti una missione della Commissione di dare l’avvio a livello strutturale e spianare la via legale del processo ma devono essere Francia e Germania a rappresentare un esempio, dimostrando agli altri stati membri che l’interesse comune deve oltrepassare quello nazionale.
Unione politica: uovo o gallina?
L’economista Berry Eichnegreen fa il punto sulla situazione odierna dicendo che i leader europei sono d’accordo sul fatto che la UE debba (prima o poi) diventare un’unione economico-monetaria completata da un’unione bancaria, un’unione fiscale ed un’unione politica. I problemi sorgono non appena si parla del come e quando implementare queste 3 strutture.
Come un cane che si morde la coda, abbiamo la Bundesbank che dichiara che non può esistere un’unione bancaria fino a che non esista un’unione fiscale. Merkel che dichiara che un’unione fiscale non può avvenire senza un’unione politica e Monsieur Hollande che completa il circolo vizioso dicendo che non può esserci un’unione politica senza l’unione bancaria. La soluzione sarebbe dunque l’implementazione contemporanea delle tre strutture anche se, obbiettivamente, sembra oggi di esserne ben lontani.
Cosa ne pensa la Francia?
L’opinionista Jean Quatremer spiega che il disaccordo tra Francia e Germania sulla questione del “circolo vizioso” non è di certo una novità. Fin dall’inizio dell’avventura europea, la Germania ha sempre portato avanti una campagna volta alla creazione di una federazione europea sul modello tedesco. Eppure, ogni volta sono stati i tedeschi stessi a doversi misurare con la riluttanza della Francia a cedere parte della sua sovranità. La Francia è rimasta a lungo sospettosa riguardo alla proliferazione di agenzie federali che non possano essere monitorate direttamente dall’Eliseo il che ha portato les francais a prediligere un modello intergovernamentale di integrazione. In seguito al trattato di Maastricht, nel 1992 la Germania ha avanzato due offerte di unione politica ai francesi. Nel ‘94 Wolfgang Schäuble e Karl Lamers proposero al governo di Balladur di creare una Kerneuropa ,una sorta di nucleo Federale Europeo. L’iniziativa venne semplicemente ignorata e cadde nel dimenticatoio. Sei anni più tardi, l’allora Ministro degli Esteri Fischer propose la stilatura di una costituzione europea il cui progetto, accettato nel 2002 da Chirac, fu bocciato dal popolo col referendum del 2005. Probabilmente Berlino avanzerà una nuova proposta prima della fine dell’anno ma se la Francia rifiutasse nuovamente, allora diventerebbe improbabile che qualsiasi politica di solidarietà finanziaria venga applicata tra membri dell’area Euro in un futuro prossimo.
Cosa ne pensa la Germania?
Agli occhi della Germania, è il fiscal compact il primo passo verso l’unione politica. La vigilanza bancaria comune e la promozione di crescita e competitività sono considerati come passi successivi verso un trasferimento di sovranità alle istituzioni comunitarie. In effetti, il fiscal compact o Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria, sarebbe più facile da attuare da parte di un paese federale (come la Germania) piuttosto che per stati centralizzati (come la Francia) ergo una maggior pressione ad implementare questa struttura come base di partenza. A livello legale, nell’interpretazione tedesca, qualsiasi trasferimento di sovranità a livello europeo richiede progetti a lungo termine che, spesso prevedono l’avvio di processi di revisioni costituzionali, come accaduto di recente con la revisione del meccanismo di stabilità europeo (ESM) che ha richiesto una decisione da parte della Bundesverfassungsgerichtdi Karlsruhe, attesa per settembre.
Il ruolo dell’opinione pubblica e società civile
Nonostante l’importanza che tale dibattito sta avendo in relazione alla crisi europea, l’unione politica non è una panacea che ristabilirà l’economia continentale. Tutto dipenderà da come questa unione verrà costruita e quale sarà lo scopo che servirà. L’Europa ha bisogno di un nuovo brand che metta più in risalto i vantaggi per tutti derivanti da una maggiore integrazione. Come dice l’esperto di comunicazione Marc Michils, “non c’è niente di più noioso di qualcosa con il marchio della Commissione Europea”, dunque come può l’UE riapprocciarsi ai cittadini europei?
Nel suo ultimo libro Jürgen Habermas fa appello ad una maggiore legittimazione democratica delle istituzioni europee ed un più trasparente processo di decision-making. Il consiglio del grande sociologo tedesco ai capi di stato è di abbandonare l’attuale approccio frammentario “guidato da esperti e tecnocrati” per avvicinarsi ad un approccio più onesto verso il pubblico nonostante tale opzione li renda più vulnerabili ed esposti.
Muoversi verso un taglio netto della sovranità nazionale senza l’appoggio della società civile può avere consequneze imprevedibili. Il consenso a denti stretti può solo resistere per un tempo limitato. In un paese dopo l’altro e non solo nei paesi in bisogno di prestiti, supporto per una maggiore integrazione europea sta crescendo. È da notare infatti che il processo di costruzione europeo è sempre stato piuttosto elitario ed il deficit democratico di cui l’unione viene spesso accusata sembra esserne un fattore implicito. Ciò nonostante, i cittadini europei hanno potuto vivere con questo gap fin tanto che stabilità e crescita sono state garantite. Riprendendo Habermas, se “UE” significa che gli interessi nazionali dei cittadini diventino invisibili ai governanti diretti (nazionali o regionali ndr) sembra arduo prevedere come il consenso popolare possa essere assicurato direttamente a livello sovranazionale. Se, d’altro canto “UE” significa austerità e recessione, la legittimità dell’intero progetto viene esposta sotto una crescente minaccia e i fautori dell’integrazione si ritroveranno a forzare l’integrazione su società sempre più instabili e piene di risentimenti contro “il distante” potere Europeo.
Kenneth Rogoff scrive che unioni monetarie non possono sopravvivere senza legittimazione politica soprattutto quando non coinvolgono elezioni (i presidenti di Commissione e Consiglio europeo non sono eletti direttamente ndr). Lungo queste linee sta la constatazione che i leader europei pretendano ad infinitum di legiferare in maniera transfrontaliera senza una coerente e legittima framework politica.
Perché ciò non accada l’Europa ha bisogno di un processo politico aperto. Non può esistere un vero senso di appartenenza a meno che l’Europa non metta sul tavolo un dibattito che trascenda i confini nazionali ed i conflitti interni. L’unione deve diventare più pronta ad ascoltare le proprie città e le proprie società civili. Questa non è una raccomandazione per un futuro lontano, ma possibilmente per le prossime elezioni europee del maggio 2014. Più di un decennio fa, Jacques Delors si augurò che un giorno le scelte e decisioni del Presidente della Commissione possano coincidere con i risultati delle elezioni del parlamento europeo. Questa transizione, se attuata con il consenso della società civile, potrà portare alla costituzione di quell’unione mancante al puzzle dell’Europa contemporanea.
A version of this article was originally published in Lo Spazio della Politica