Il federalismo belga: Effetti ed evoluzioni di un caso di ingegneria politica

Questa tesi è stata presentata il 22 luglio 2009 presso la Facoltà Roberto Ruffilli di Forlì dell’Università di Bologna. Sentitevi liberi di citarla facendo riferimento all’ indirizzo url corrispondente.

This BA thesis was discussed on 22nd July 2009 at the Roberto Ruffilli Faculty of the University of Bologna. Feel free to quote it by referring to the corresponding url.

Alma Mater Studiorum

Università di Bologna – Sede di Forlì

FACOLTA’ di SCIENZE POLITICHE
“ROBERTO RUFFILLI”

Corso di Laurea in

Scienze internazionali e diplomatiche (Classe 15)

ELABORATO FINALE

in Scienza Politica

Il federalismo belga:

Effetti ed evoluzioni di un caso di ingegneria politica

CANDIDATO
RELATORE
                    Marco Ricorda

Sofia Ventura

Anno Accademico 2008/2009

I Sessione di Laurea

Ringraziamenti

Ringrazio i miei genitori ed i miei fratelli per il sostegno che mi hanno sempre dato e per avermi aiutato a non mollare anche quando sembrava troppo dura per continuare, per esser sempre stati pronti a tirarmi su quando ero a terra e per avermi dimostrato quanto mi amassero in qualsiasi circostanza.

Ringrazio i miei colleghi di università con i quali ho condiviso la fatica ma anche le gioie di questi ultimi tre anni: Lorenzo, Irena, Nicola, Paola, Rosario, Ignazio, Mirko, Matteo, Rafa, Luis, Francesca, Carlotta Peppe, Michele, Davide.

Ringrazio sinceramente la Prof.ssa Ventura che mi ha aiutato e sopportato durante la stesura di questo elaborato.

Infine ringrazio tutto il personale della Facoltà R.Ruffilli per avermi dimostrato la qualità del servizio che questa istituzione offre.

INDICE

1.      Introduzione

2.      La  formazione dello stato belga: Una nazione formata dallo stato

2.1      Il post-rivoluzione del 1830

2.2      La nascita dei regionalismi e le questioni linguistiche

2.2.1   Il caso dell’Università Cattolica di Lovanio

2.2.2   Il caso Voeren / Fourons

3.      Evoluzione politico-istituzionale dal 1960 al 2001 – La via verso la federalizzazione

3.1      La riforma del 1970: L’Etat unitaire a vecu

3.2      Il fallimento del Patto Egmont e la riforma del 1980.

3.3      La riforma del 1992/1993

3.4      La riforma del 2001

3.4.1   Riforma delle istituzioni locali della Regione di Bruxelles Capitale

3.5       Le revisioni sul federalismo fiscale

3.5.1    L’introduzione del federalismo fiscale nel 1989

3.5.2    Il federalismo fiscale nella legge del 2001

4.    Il sistema partitico

4.1       La base strutturale del sistema partitico

4.2       La struttura del sistema

4.3       Il procedimento elettorale

4.4       L’elemento destabilizzante della volatilità

4.5       I partiti e la costruzione del panorama partitico

4.5.1        I partiti cattolici

4.5.2        I socialisti

4.5.3        I liberali

4.5.4        Le sfide (vincenti) degli ultranazionalisti fiamminghi: Vlaams Block e Vlaams Belang

4.5.5        I verdi

5.      La forza del consociativismo

5.1      Consociativismo e modello consensuale in pillole

5.2      Le caratteristiche del modello consensuale applicate al caso belga

5.3      Il ruolo delle istituzioni nella  democrazia consensuale

5.4      La democrazia consensuale nei conflitti linguistico – culturali

6.   Conclusioni 

7.   Bibliografia

INTRODUZIONE

Pur essendo un piccolo paese con circa 11 milioni di abitanti, storicamente circondato da grandi potenze che lo hanno modellato in base alle loro necessità o alle necessità del mantenimento di un ordine politico equilibrato a livello europeo,  il Belgio è uno stato che suscita anche al presente l’interesse di politologi, sociologi e giuristi. A partire in particolar modo dagli anni’60, la maniera nella quale il paese si è districato nel risolvere le questioni e le fratture a sfondo linguistico ed etnico – culturali che ancora oggi pervadono la vita politico-sociale del paese e che continua ad alimentare la più grande instabilità istituzionale in un paese occidentale rappresenta un unicum nella storia politica moderna. Il Belgio rappresenta il precipitato di tutti gli aspetti più deleteri delle classiche democrazie parlamentari: Paese in cui vige la legge elettorale proporzionale, con un numero sempre crescente di partiti politici ad animare la scena parlamentare, con una profonda instabilità governativa ed uno dei meccanismi federali più complessi al mondo. Risultato? Un paese costantemente in panne (Lo Prete,2008). In effetti, nella storia contemporanea belga è possibile studiare numerosi casi dove il modello consensuale ha funzionato alla lettera e casi in cui le faide etno – regionaliste hanno rappresentato un vero e proprio ostacolo alla solidità delle istituzioni consensuali

Negli ultimi decenni, il Belgio si è trasformato gradualmente da uno stato unitario ad uno stato federale. A partire dal 1993, l’Art. 1 della Costituzione stipula che il Belgio è uno stato federale composto da Comunità e Regioni. In questa tesi parlerò in principio della storia del Belgio e dell’evoluzione politico-istituzionale che ha trasformato un paese fortemente centralizzato in uno dei più decentralizzati del mondo ed in uno dei più interessanti e peculiari esempi di stato federale. Differenze linguistiche, culturali, e divergenti priorità economiche hanno portato alla formazione, in seguito ad un graduale processo di evoluzione istituzionale, di una composita struttura statale. La federalizzazione iniziò negli anni 1970 e continua ai giorni nostri lasciando nell’ombra il futuro del paese che non sembra aver trovato una stabilità politica definitiva (Swenden, Brans, Dewinter, 2006,863-873). Nel 2007, il paese è entrato in una crisi che ha toccato trasversalmente tutti gli aspetti della politica interna determinando oltretutto un record di assenza di governo (in uno stato con un immensa necessità di riforme da attuare nel breve periodo).

Per comprendere come, nonostante la problematicità di far confluire le comunità nella stipulazione di accordi comuni, l’apparato statale belga funzioni ed abbia funzionato fino ai giorni nostri ho voluto anche analizzare il ruolo del modello consensuale e consociativo del quale il Belgio rappresenta un idealtipo. Come è possibile che uno stato artificiale frutto di pura ingegneria politica possa rimanere unito ed essere partecipativo alle politiche comuni dell’unione europea?

Dobbiamo considerare il Belgio come un campo fertile per la disgregazione della struttura europea dello stato nazione o come il modello meglio riuscito di meltin pot modernization?

LA FORMAZIONE DELLO STATO BELGA:

UNA NAZIONE FORMATA DALLO STATO E LA NASCITA DELL’ETNOREGIONALISMO

“ Non esistono Belgi…esistono solo Fiamminghi e Valloni che vivono nello stesso stato” (Burgess,1986,38). Questa dichiarazione di Burgess, importante teorico del federalismo, esprime scetticismo su come il processo di nation-state building non abbia avuto compimento nel piccolo stato dell’Europa occidentale. Leton e Miroir invece dichiarano che “ l’identità fiamminga e quella vallona non precedono il Belgio ma ne costituiscono piuttosto il prodotto finale”, indicando come il processo di nation-building belga si sia rivelato piuttosto un processo di region-building. Per poter analizzare la situazione politico-sociale del Belgio attuale è necessario ripercorrere le evoluzioni storiche del paese. Il Belgio molto raramente si è trovato in condizione di avanzare delle richieste alle altre potenze europee ma piuttosto, sin dalla sua nascita, si è visto subire le decisioni geopolitiche dei più potenti vicini.

2.1    Il post rivoluzione del 1830

La nascita dello stato moderno del Belgio risale al 1830. Con la sola eccezione dell’area che circonda Liegi, il Belgio è stato dominato totalmente e come un’unità sin dal 1581 anno in cui gli Olandesi si liberarono dal controllo degli Asburgo spagnoli. Durante i successivi tre secoli il territorio che adesso cade sotto il nome di Belgio è stato dominio degli Asburgo Austriaci ed in seguito divenne territorio francese sotto Napoleone. Fu nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, che il territorio divenne parte del Regno dei Paesi Bassi governato dal sovrano Guglielmo I per i successivi quindici anni. Si può affermare che la rivoluzione belga nacque come una reazione nazionalista contro l’oppressione straniera rappresentata dall’Olanda (Logie,1980) ed il nazionalismo belga è nato da una volontà di distinzione che questa comune storia politica ha generato (Murphy,1994,78).

Il nazionalismo Belga dei primi anni del XIX secolo emerse nell’ambito di un territorio che era linguisticamente molto complesso. A partire almeno dal X sec., la linea che separava le lingue germaniche dalle lingue romaniche si era stabilita esattamente nel mezzo di ciò che era destinato a divenire il Belgio. A nord di questa linea si parlava una ricca varietà di dialetti germanici simili all’olandese e a sud della linea si parlava una varietà di dialetti neo-latini derivanti da francese. Già dominante durante la seconda dominazione asburgica, l’utilizzo del francese fu ulteriormente incentivato durante la dominazione napoleonica dal 1794 al 1815, che portò anche un intenso movimento di francesizzazione che partiva da sud verso nord; alla soglia della rivoluzione del 1830 l’utilizzo del francese si era propagato anche nelle élites amministrative del nord. La presenza, purché numericamente ridotta ma socialmente ragguardevole di gruppi d’interesse francofoni in alcune delle città fiamminghe più importanti come Gent, Anversa e Bruxelles aumentarono esponenzialmente l’uso del francese a livello anche dell’amministrazione locale. Questi gruppi di persone erano generalmente di origini e famiglie fiamminghe che iniziarono ad utilizzare il francese soprattutto durante il XIX, secolo quando questa lingua era la più utilizzata nell’istruzione, nella cultura e nei governi e nei rapporti diplomatici della maggior parte dei paesi europei.

Se la condizione linguistica nel sud diventava progressivamente più omogenea in seguito alla standardizzazione del francese, nel nord invece, aumentavano le varianti dell’olandese e verso la fine del XIX sec. i tentativi di standardizzazione della lingua erano progrediti con difficoltà sia per la maggiore influenza del francese a livello europeo sia per la scarsa coesione delle élites di lingua olandese che non attuarono un efficace piano di omogeneizzazione della lingua. La rivoluzione belga ebbe dunque luogo in un paese decisamente eterogeneo dal punto di vista linguistico. La lingua era uno dei tanti temi in discussione nel movimento per l’indipendenza belga. Da un lato, le élites francofone si opponevano alla volontà di Guglielmo I di imporre l’uso dell’olandese su tutto il regno anche se la rivoluzione non trovava le sue motivazioni solo nel nazionalismo linguistico. Il neo-indipendente Belgio fu costituito come una democrazia parlamentare con una monarca sottomesso alla costituzione. All’epoca non esisteva ancora una concezione del Belgio come un paese costituito da due regioni linguistiche. Le differenze dialettali precludevano lo sviluppo di qualsiasi senso indigeno di omogeneità linguistica sia al nord sia al sud. Infatti, in seguito alla rivoluzione, i termini Fiandre e Vallonia non venivano utilizzati per definire rispettivamente la parte nord e sud del Belgio. All’epoca, la struttura governativa era molto centralizzata e non esisteva alcun aspetto governativo – istituzionale che prendesse in considerazione le differenze culturali delle due regioni. E’ necessario comunque considerare che la costituzione garantiva la libera scelta dell’uso della lingua: “L’emploi des langues usitées en Belgique est facultatif; il ne peut être réglé que par la loi, et seulement pour les actes de l’autorité publique et pour les affaires judiciaires. » (Art.30 della costituzione belga del 1831).

A dispetto di questa garanzia costituzionale, era il francese la lingua utilizzata negli affari pubblici del Belgio nel XIX secolo. Gli aspetti politico-economici erano dominati da francofoni emigrati dal sud – l’allora cuore economico del paese – o membri delle élites francofone nelle città del nord e ciò fece seriamente riflettere sull’evenienza della trasformazione del Belgio in un paese totalmente francofono in quanto vigeva ancora un sistema che limitava il diritto di voto ai grandi proprietari terrieri.

2.2  La nascita dei regionalismi e le questioni linguistiche

Un movimento di reazione allo status quo prese vita  tra un gruppo di intellettuali Fiamminghi influenzati dall’ondata di nazionalismo romantico che investì l’Europa dell’ottocento e dal risentimento per la posizione privilegiata del francese negli affari pubblici. Il cosiddetto Movimento Fiammingo affondava le proprie radici nella volontà di promuovere l’uso dell’olandese e la cultura fiamminga durante il tardo XVIII secolo, ma fu solamente in seguito alla nascita dello stato belga che il movimento prese effettivamente forma. Nel 1846 il movimento portò all’organizzazione del Heilig Verbond (Unione Sacra), con scopi di promozione letteraria e linguistica; nella metà dell’Ottocento, il fiammingo fu così ammesso nei principali usi e nell’insegnamento secondario. Lungo il XIX secolo, i leader del movimento fiammingo si occupavano fondamentalmente della questione della disparità sociale tra le lingue usate nel paese. Il movimento tentava di promuovere il diritto del popolo fiammingo ad utilizzare l’olandese come lingua del governo, dell’istruzione, del commercio e nell’esercito. I loro sforzi si opponevano alle preponderanti élites francesi che erano assolutamente restie a cambiare lo status quo. Un evento eclatante che sollecitò  le pressioni da parte del movimento fu quello di Couke e Goethals, due operai fiamminghi condannati a morte dalla Corte di Assise di Hainaut e giustiziati senza che nemmeno capissero di cosa fossero stati incolpati, visto che l’intero processo si svolse in francese. Ancora più gravi, quantomeno per le conseguenze quantitativamente più ragguardevoli, furono gli incidenti mortali che coinvolsero numerosi soldati fiamminghi nel corso della Prima Guerra Mondiale, incidenti dovuti alle incomprensioni con i superiori che impartivano ordini in francese.

A dispetto del fallimento del movimento fiammingo di introdurre riforme efficaci nella struttura dell’uso della lingua nella vita pubblica, il movimento riuscì però a portare l’attenzione sulle discriminazioni che i cittadini di lingua fiamminga subivano in Belgio. In tal modo, si espandeva nel paese la coscienza che lo stato fosse effettivamente composto da due gruppi linguistici distinti. Naturalmente, la questione aveva ancora poco valore per coloro che vivevano al di fuori delle grandi città, che parlavano una moltitudine di dialetti diversi o che erano interessati principalmente alla dimensione locale della politica. Inoltre, il movimento non si trasformò direttamente in una richiesta unilaterale di autonomia lungo le linee di separazione linguistiche.

Frustrati dell’intransigenza dell’elite francofona e motivati dalla crescente disuguaglianza nella struttura dell’uso delle lingue, il movimento fiammingo iniziò ad adottare un atteggiamento più radicale a partire dal XX secolo. Al tempo stesso, il radicalismo fiammingo produsse una reazione dei francofoni del sud che pose le basi per la nascita di un Movimento Vallone, sorto nel 1880 per promuovere la cultura Vallona e opporsi alle eccessive richieste fiamminghe. Al cuore del movimento stava la questione di Bruxelles, capitale del paese e città storicamente fiamminga. Sebbene la città fosse situata a nord della linea del confine linguistico, la percentuale di popolazione francofona nella città crebbe rapidamente nel XIX secolo a causa della concentrazione delle istituzioni ed apparati della funzione pubblica. Già nel 1910 i francofoni costituivano la maggioranza della popolazione cittadina. Una parte di questi erano valloni “immigrati”, altri erano di ascendenza fiamminga. Dunque Bruxelles non era né una città Vallona dal punto di vista geografico né una città fiamminga dal punto di vista linguistico. La capitale divenne dunque il simbolo del contenzioso linguistico. I Fiamminghi vedevano il declino dell’olandese e dei dialetti germanici come un tentativo dei francofoni di eliminare la cultura ed il patrimonio storico fiammingo. I Valloni vedevano la pressione fiamminga come un tentativo di decurtare i francofoni del diritto costituzionale della libertà di scelta della lingua.

Negli anni a seguire, fino alla Prima Guerra Mondiale, un prominente gruppo di leader fiamminghi abbandonò l’enfasi posta fino allora sui diritti individuali del libero uso della lingua in favore di un approccio territoriale al problema linguistico. La rapida crescita del francese a Bruxelles ed una serie di sconfitte legislative nell’arena linguistica portarono questa frazione di leader fiamminghi alla conclusione che i diritti culturali del loro popolo potevano essere solo protetti definendo un territorio fiammingo nel quale istituzionalizzare l’uso dell’olandese e dei dialetti fiamminghi. In questa fase nessuno metteva ancora in dubbio l’unità dello stato belga e il movimento fiammingo era semplicemente intenzionato a condurre una battaglia per il riconoscimento dei diritti culturali e di equità linguistica in Belgio.

Un cambiamento significativo avvenne durante ed in seguito alla prima guerra mondiale. Un numero crescente di belgi iniziò a pensare al proprio paese non meramente come un’entità composta di due popoli ma anche da due regioni etnolinguistiche geograficamente distinte. Vari fattori contribuirono a tale sviluppo: In primis il riconoscimento degli svantaggi dei non francofoni risultanti dalla struttura sociolinguistica e dei ranghi dell’esercito. In secondo luogo, tra i soldati fiamminghi, che condividevano una comune esperienza di discriminazione di carattere linguistico, si formarono diverse associazioni di autotutela. In terzo luogo, una suddivisione dei settori amministrativi lungo linee linguistiche adottata durante l’occupazione tedesca favorì gli attivisti fiamminghi. Infine, l’entrata in vigore del suffragio universale maschile dopo la guerra si trasformò in un potere politico molto più rilevante per la più numerosa popolazione fiamminga. Tali sviluppi culminarono nella prima legge territoriale del 1921, che introduceva l’uso dell’olandese negli affari amministrativi delle province del nord del Belgio ad eccezione di Bruxelles. La legge del 1921 non prevedeva però sanzioni nel caso di violazioni e fu dunque applicata raramente. Le continue violazioni della legge del 1921 misero in azione una serie di eventi che culminarono con l’adozione di più estese e radicali processi di legislazione nel 1932. Tali leggi prevedevano l’utilizzo dell’olandese nella maggior parte degli aspetti della vita pubblica nel Belgio del nord. Attraverso di esse “Il Belgio accettava in termini di equità linguistica ciò che la Pace degli Asburgo diede alle Germanie in tema di libertà religiosa nel 1555. Il principio fu quello di una scelta territoriale piuttosto che individuale” (Leroy,2003,13).

Al cuore della legislazione linguistica degli anni ‘20 e ‘30 stava la visione del Belgio come uno stato diviso territorialmente in due regioni linguistiche, le Fiandre e la Vallonia, ed una capitale che combinasse gli elementi di entrambe. Questa fu la visione che alla fine avrebbe costituito la base politica dello stato belga. Ad ogni modo, le regioni linguistiche non facevano ancora parte della struttura politica del Belgio di allora e la loro estensione territoriale fu soggetta a numerosi cambiamenti dovuti al mutamento delle maggioranze etnolinguistiche in molti comuni. Oltretutto, le continue violazioni delle leggi linguistiche non si placarono come nel caso lampante dell’Università Cattolica di Lovanio che analizzeremo nel prossimo paragrafo.

Le opposizioni sulle issues linguistiche si intensificarono durante gli anni 1930 giacché le violazioni diventavano man mano più palesi. Durante il secondo conflitto mondiale i tedeschi ristabilirono nuovamente la divisione amministrativa del paese lungo linee linguistiche. In seguito, la conseguente sconfessione di tutto ciò che potesse essere associato all’occupazione nazista calmò le richieste dei movimenti regionalisti per qualche anno ma l’ormai radicata tendenza a trasformare qualsiasi questione in termini regionali fece si che anche problemi politici come i finanziamenti statali alle scuole cattoliche e la sospetta collaborazione del Re Leopoldo III con i tedeschi diventarono motivo di scontro fra le comunità linguistiche. Un “reale” dibattito a sfondo linguistico si scatenò attorno censimento del 1960. Il rifiuto di numerosi sindaci fiamminghi dell’area intorno a Bruxelles di distribuire il modulo per il censimento (per timore di implicazioni politico-territoriali compromettenti) rappresentò il turning point per il delineamento definitivo dei confini linguistici.

Furono approvati due decreti nei primi anni 1960 che fissarono la linea di confine linguistico. I decreti prevedevano l’applicazione del monolinguismo nelle Fiandre e nella Vallonia e dichiaravano i diciannove comuni sotto l’amministrazione di Bruxelles come area bilingue. Per di più furono garantite facilitazioni e diritti speciali a 6 comuni di lingua fiamminga al di sotto del confine e a 12 comuni francofoni al di sopra. La definizione delle frontiere non portò ad una distensione dei rapporti dal momento che la definizione dei confini furono il frutto di compromessi politici e non di investigazioni o ricerche scientifiche. Le controversie riguardo all’ubicazione dei confini, in particolar modo nel caso del comune di Voeren / Fourons (che analizzeremo in seguito), alimentarono ulteriormente le già instabili tensioni etnico – regionali. Ad ogni modo, le violazioni di tali provvedimenti erano piuttosto frequenti anche nelle maggiori istituzioni nelle Fiandre, come il caso dell’Università Cattolica di Lovanio che fu molto restia ad abbandonare l’uso del francese come lingua ufficiale.

2.2.3        Il caso dell’Università Cattolica di Lovanio

L’università cattolica di Lovanio (nome ufficiale francese: Université Catholique de Louvain; nome ufficiale fiammingo: Katholieke Universiteit Leuven) è la più grande ed antica del Belgio e rappresenta anche la più antica università cattolica tuttora esistente. La sua fondazione risale  al 1425. Soppressa nel 1797 durante la Rivoluzione Francese, fu riaperta come università statale nel 1816 per volere del re Guglielmo I d’Olanda;

Mentre la lingua d’insegnamento accademico della “vecchia” università (dal 1425 al 1835) era il latino, al momento della rifondazione del 1835 l’università provvedeva corsi sia in latino che in francese. Alla fine del XIX secolo diventò de facto un’istituzione francofona. Le lezioni in olandese vennero assegnate invece a partire dal 1930. Nel 1962, in linea con le riforme costituzionali riguardanti il monolinguismo, la sezione francese e quella olandese diventarono autonome ma gestite da una struttura comune. La divisione definitiva dell’università diventò comunque il pretesto per una perpetua richiesta da parte dei nazionalisti fiamminghi che mostravano risentimento per i privilegi garantiti allo staff accademico francofono nonché l’atteggiamento di disprezzo della comunità universitaria francofona nei confronti dei colleghi fiamminghi (In una città interamente in territorio fiammingo).

Quando un noto geografo sociale francofono suggerì in una trasmissione televisiva che sarebbe stato consigliabile inglobare Lovanio in una zona bilingue di Bruxelles allargata una grande manifestazione di protesta si levò. Al grido di “Leuven Vlaams! – Walen buiten!” (Lovanio fiamminga – Valloni fuori ) orde di studenti e attivisti fiamminghi si mobilitarono attivamente e vi furono episodi di violenza. La situazione fu mal gestita dalle autorità ed il governo cristiano-sociale di Vanden Boeynants dovette presentare le dimissioni nel febbraio del 1968. La disputa venne risolta nel giugno del 1968, con l’istituzione di una sezione fiamminga (Katholieke Universiteit van Leuven) che rimase nella città e di una sezione francofona (Université Catholique de Louvain) che venne situata in uno spazio costruito ad hoc a 20 km a sud di Bruxelles (dove il francese vige come lingua ufficiale).

2.2.2  Il caso Voeren / Fourons

Voeren è un enclave fiamminga compresa tra la provincia Vallona di Liegi e l’Olanda. Prima dell’avvento delle leggi linguistiche, Voeren era parte della provincia di Liegi ma diventò poi parte della provincia di Limburg. In seguito ad un compromesso politico, per bilanciare questo scambio di amministrazione, Komen diventò poi parte di Hainaut. Entrambe le municipalità ebbero comunque lo status di comuni con facilitazioni linguistiche.

Il gruppo francofono del comune formò un movimento politico chiamato Action Fouronnaise (AF) e si candidò alle elezioni locali sotto il nome di Retour a Liège (Ritorno a Liegi). Come si deduce dal nome, il movimento lottava per ritornare sotto l’amministrazione di Liegi e conseguentemente ad uno status di comune francofono. Fino ai primi anni ‘90 il movimento ebbe piena maggioranza nel consiglio municipale ma i leaders dell’Action Fouronnaise non poterono mai essere eletti sindaci in quanto secondo le leggi linguistiche non potevano essere eletti sindaci che non parlassero perfettamente la lingua ufficiale della comunità. La questione dunque portò alla discussione su un possibile cambiamento di stato di Voeren da fiammingo a bilingue. Prima del 1963, più del 90% della popolazione parlava il dialetto locale derivante dall’olandese. Le funzioni religiose erano tutte in olandese cosi come la lingua usata nelle scuole primarie. Ad ogni modo la maggior parte degli alunni delle scuole secondarie frequentavano le lezioni nelle vicine città francofone di Vise e Hervé. I genitori fiamminghi pensavano che se i loro figli fossero diventati perfettamente bilingue essi avrebbero avuto migliori prospettive di lavoro. Le scuole francofone apparvero solo dopo il passaggio di Voeren a Limburg. Questo trasferimento funzionò, paradossalmente, da catalizzatore per la francesizzazione di Voeren. Un motivo importante di questo processo era dato dai rapporti interpersonali tra gli uomini influenti di Voeren e la classe politica di Liegi. Lo scontro pro Liegi / pro Fiandre è dunque scaturito dai rapporti politici locali e dalle raccomandazioni e cooptazioni che al livello locale della politica influiscono notevolmente.

Un altro indicatore importante della ratio della questione riguarda i censimenti. In Belgio i censimenti linguistici erano sempre esistiti sin dal 1830 ma in seguito alla Prima Guerra Mondiale essi diventarono una sorta di referenda periodici. I censimenti infatti furono la causa del progressivo spostamento del confine linguistico verso Nord di decennio in decennio. In tal modo gli abitanti francofoni di Voeren passarono dal 18% nel 1939 al 52% nel 1947. Questa fu la causa principale dell’abolizioni di questi censimenti imposta dai fiamminghi. Attualmente si stima che le percentuali siano 60% pro Liegi e 40% pro Fiandre . Ma la questione é indubbiamente destinata a riemergere.

EVOLUZIONE POLITICO – ISTITUZIONALE DAL  1960  AL 2001:

LA VIA VERSO LA FEDERALIZZAZIONE

Il Belgio si è trasformato da uno stato unitario ad uno stato federale nel corso di una generazione politica (Alen and Ergec, 1994). Il Belgio rappresenta un modello di federalismo particolarmente interessante per la complessità e per la peculiarità dal punto di vista sia etnico – linguistico (coesistenza di tre popoli differenti per cultura e per lingua), sia politico-amministrativo (il Belgio ha una struttura a cinque livelli di poteri: Governo federale, Comunità, Regioni, Province e Comuni). Infatti, lo Stato belga è suddiviso in 4 Regioni linguistiche (Vallona di lingua francese, Fiandre di lingua olandese, Bruxelles Capitale bilingue e Comuni ai confini tra Vallona e Germania di lingua tedesca) e si compone di 3 Regioni, di 3 Comunità, di 10 Province e di 589 Comuni. Lo Stato federale belga è, pertanto, così costituito: Livello federale: Re, Governo federale, Camera dei rappresentanti, Senato. Livello comunitario: Comunità germanofona, Comunità francese, Comunità fiamminga. Livello regionale: Regione vallona, Regione fiamminga, Regione Bruxelles-Capitale. Livello provinciale: Province valloni (5), Province fiamminghe (5), Territorio bilingue di Bruxelles-Capitale. Livello comunale: Comuni valloni (262), Comuni bruxellesi (19), Comuni fiamminghi (308).

In questo capitolo prenderò in considerazione il percorso di riforme intrapreso dal Belgio tra il 1970 ed il 2001 che hanno portato alla formazione dell’attuale struttura statale del paese. E’ necessario comprendere che le riforme attuate in soli trentuno anni hanno completamente ristrutturato l’apparato politico – istituzionale del paese nonostante la procedura di revisione costituzionale fosse molto complessa e richiedesse compromessi politici tra i partiti e le comunità anche in periodi di accesa ostilità.

3.1   La riforma del 1970: L’Etat unitaire a vecu

Le riforme del 1970 scaturirono principalmente dalle tensioni riguardanti le questioni linguistiche tra fiamminghi e valloni nonché dagli scontri tra i contrapposti raggruppamenti politici con una prevalenza dei socialisti e dei liberali in Vallonia e dei cattolici nelle Fiandre. Un terzo fattore (che sarà influente in particolar modo durante la spinta verso il federalismo fiscale) era costituito dalla trasmigrazione del benessere economico dalla Vallonia (a causa di una crisi carbosiderurgica che aveva portato alla chiusura definitiva delle miniere sulle quali l’economia vallona si fondava) alle Fiandre, grazie ad uno straordinario processo di industrializzazione ed al fiorente traffico commerciale del porto di Anversa, diventato il secondo porto più grande d’Europa ed il quarto al mondo. Una serie di crisi rese il processo inesorabile: L’instabilità portata dalla bagarre linguistica raggiunse l’apice durante la risoluzione  della questione relativa all’Università Cattolica di Lovanio (Vedi cap.2.2.3) che aveva portato all’estromissione della sezione francese dell’università. La crisi politica riguardava la rottura definitiva tra le ali francofona e fiamminga del partito cattolico che portò alla formazione del CVP (Christelijke Volksparteij) ed il PSC (Parti Social Chrétien). La divisione dei partiti lungo linee etnolinguistiche verrà poi intrapresa da tutti gli altri maggiori partiti. Tratterò l’evoluzione del sistema partitico nazionale nel cap. 4.

La riforma del 1970, che rappresentò una sfida per una Costituzione concepita in uno spirito di centralizzazione di tipo napoleonico, fu avviata dall’allora Primo Ministro cattolico fiammingo Gaston Eyskens (che assunse la carica di primo ministro per sei volte) e fu realizzabile grazie ai voti dell’opposizione e in particolar grazie ai voti dei liberali. Benché Eyskens non ritenesse necessario procedere con una federalizzazione dello stato, fu durante la sessione parlamentare del 15 febbraio 1970 che dichiarò “L’Etat unitaire a vecu”, esprimendo come fosse diventato indispensabile avviare un processo di revisione della Costituzione finalizzato ad attribuire un maggiore grado di autonomia alle diverse componenti dello Stato in materia culturale, economica e finanziaria.

Il processo di revisione della Costituzione in Belgio è piuttosto complesso, richiedendo alle due Camere di stabilire gli articoli da emendare, abrogare o aggiungere e attribuendo alle Camere cosiddette costituenti, appositamente elette, il compito di attuare le modificazioni deliberate con la presenza di almeno 213 membri e la maggioranza dei due terzi dei votanti. Dal 1970 si stabilì, inoltre, che per le leggi relative a materie etnico – culturali occorresse la maggioranza qualificata in ogni Camera. Questo meccanismo, introdotto con un emendamento del 24 dicembre 1970, (art.38 bis Cost., attuale art.54 Cost.) rappresentava un forte strumento consociativo ed una sorta di potere di veto e di garanzia specialmente per la comunità vallona meno rilevante demograficamente. I cambiamenti hanno investito anche l’organizzazione statale con l’introduzione del principio paritario (ministri metà valloni e metà fiamminghi) e di una struttura dualistica (in ogni Camera un gruppo parlamentale fiammingo contrapposto ad uno vallone).

La revisione costituzionale portò al delineamento di due Comunità a caratterizzazione culturale francese e olandese, elevate a persone giuridiche di diritto pubblico, con un’Assemblea deliberante (Consiglio culturale composto di membri della Camera dei rappresentanti e del Senato eletti nel proprio territorio) e con attribuzioni esercitabili nelle forme di decreto avente forza di legge. Le richieste della comunità germanofona ebbero inizialmente scarso rilievo. Fu a partire dal 1973, che i 9 comuni sul confine tedesco furono abilitati ad eleggere, a suffragio diretto, i membri del Consiglio della Comunità Germanofona (Rat der Deutschsprachigen Gemeinschaft). A questo consiglio vennero attribuite solo funzioni  consultive e con una potestà regolamentare in materia culturale.

3.2  Il fallimento del Patto Egmont, la riforma del 1980 e la riforma del 1989.

Il patto Egmont del 1977 fu un tentativo di accordo riguardo alla riforma del Belgio in uno stato federale e concerneva le relazioni tra le comunità linguistiche del paese. Il patto avvenne tra i partiti del governo Tindermans IV formato da una coalizione tra il partito Cattolico Fiammingo (Christelijke Volksparteij), il partito Cristiano Sociale Vallone (Parti Social Chrétien), I socialisti fiamminghi e valloni del Belgische Socialistische Partij e del Parti Socialiste, i nazionalisti fiamminghi del Volksunie e nazionalisti valloni del Front des Francophones (FDF). Il patto prendeva il nome dal palazzo di Bruxelles, dove le negoziazioni ebbero luogo. L’accordo venne poi integrato dal patto di Stuyvenberg, dello stesso anno. Entrambi gli accordi cadono sotto il nome “Patti comunitari”. Il patto trattava questioni riguardanti molteplici aspetti della vita politica nazionale. In primis, l’istituzione di consigli ed esecutivi per le tre comunità linguistiche e per le tre regioni. In secondo luogo, accordi sui rapporti linguistici nella città di Bruxelles e corrispondente periferia. La parte più importante del patto avrebbe riguardato la riforma della struttura istituzionale statale. L’accordo saltò a causa delle immediate proteste dei fiamminghi che non accettarono le posizioni francofone riguardo a Bruxelles. L’ostilità nei confronti del governo condusse Leo Tindermans a presentare le dimissioni l’11 ottobre 1978. Ci furono conseguenze a livello del sistema partitico. L’ala radicale del Volksunie si separò e andò a formare il partito di estrema destra del Vlaams Blok. L’ultimo partito unitario, i socialisti, si scisse in una sessione francofona ed una fiamminga. Benché il patto fallisse, esso costituì un importante esercizio verso la federalizzazione, infatti, molti punti del patto sarebbero stati realizzati in seguito. Uno dei punti che non furono adottati riguardava la divisione del distretto di Bruxelles-Halle-Vilvoorde (problema che ritornerà a gran voce nei primi anni del XXI secolo).

Con le riforme del 1980 ci si prefisse l’attuazione dell’ordinamento regionale, secondo quanto previsto dalla Costituzione: “Il Belgio comprende tre Regioni: la Regione Vallona, la Regione Fiamminga e la Regione di Bruxelles” (art. 107 quater). Con la legge speciale 8 agosto 1980, le Comunità francese ed olandese hanno ottenuto delle competenze definite “personalizzabili” (sanità e assistenza sociale). Nel corso degli anni, le competenze delle Comunità sono state estese alle materie che si riferiscono alle tradizioni culturali, al turismo, al tempo libero, allo sport e all’educazione. Da rilevare, tuttavia, che le Regioni si caratterizzano per un numero più ampio di competenze rispetto a quelle delle Comunità, con particolare riferimento alla pianificazione territoriale (viabilità minore, urbanistica, politica fondiaria, arredo urbano), all’edilizia residenziale, alla protezione dell’ambiente, alla tutela della natura (boschi, caccia, pesca, bonifica), alla politica economica e a quella energetica. Il Governo centrale esercita un numero di funzioni sempre più limitato (difesa del territorio statale, amministrazione della giustizia, relazioni con gli altri stati e ordine pubblico), anche se le leggi speciali continuano a riservare allo stato degli ambiti di competenza in alcune materie. Le tre Comunità sono state, inoltre, dotate di un proprio esecutivo collegiale con membri eletti dal Consiglio a maggioranza assoluta dei voti e di una propria burocrazia. Con le leggi 28 giugno 1983 e 10 maggio 1985 viene istituita la Corte d’arbitrato (Cour d’Arbitrage), a composizione paritaria vallone e fiamminga, volta a dirimere i contrasti di competenza tra Governo centrale ed entità etniche e territoriali.

Per quanto riguarda le Regioni, quella di Bruxelles si è realizzata con molta difficoltà per vari motivi, tra cui il fatto che, richiedendo un’espansione superiore ai diciannove Comuni dell’Agglomerazione urbana, avrebbe rischiato di invadere le zone fiamminghe. Fino all’effettiva creazione della Regione di Bruxelles (1989), l’esecutivo è composto di ministri del Governo nazionale; mentre, con l’introduzione della legge speciale 12 gennaio 1989, è stato attribuito alla Regione di Bruxelles, un Consiglio eletto a suffragio diretto (prima elezione nel giugno 1989) e, soprattutto, è stato deciso che gli organi della Regione avrebbero esercitato le competenze attribuite all’Agglomerazione. Tale Regione ha avuto, quindi, i poteri e le istituzioni d’autonomia previsti dagli artt.3 e 35 dell’attuale versione costituzionale. Art.3 Cost. ‘Il Belgio comprende tre Regioni (amministrative): la Regione Vallona, la Regione fiamminga e la Regione di Bruxelles capitale”. Art.35 Cost.: “L’autorità federale è competente solo nelle materie che le sono formalmente attribuite dalla Costituzione e dalle leggi indicate dalla Costituzione. Le Comunità o le Regioni, ciascuna per quanto la concerne, sono competenti in tutte le altre materie, secondo le condizioni e le modalità stabilite dalla legge”.

Con la stessa legge del 1989, il sistema istituzionale è stato articolato basandosi sulla Regione, sull’Agglomerazione e su tre Commissioni comunitarie: una francese, una fiamminga e una comune ai due gruppi etnici. Ciascuna delle tre Commissioni ha un’assemblea a elezione diretta da parte della popolazione di Bruxelles e un collegio esecutivo eletto dall’assemblea stessa tra i suoi componenti. Le leggi istitutive delle Regioni fiamminga e vallone hanno previsto per la Regione fiamminga e per la Comunità olandese un unico Consiglio e un unico Esecutivo; mentre, per la Regione vallona e per la Comunità francese, due distinti Consigli con altrettanti Esecutivi. Ai due Consigli è stata attribuita la facoltà di adottare un decreto, a maggioranza di 2/3 dei suffragi espressi in ciascuno dei Consigli, volto a unificare le rispettive strutture, costituendo un unico Consiglio e un solo Esecutivo. I Consigli delle Regioni e delle Comunità sono formati da membri dei rispettivi gruppi linguistici delle due Camere.

3.3  La riforma del 1992/1993

Le  riforme attuate tra il 1992 e il 1993  hanno portato il Regno del Belgio a diventare uno stato formalmente federale e basato su un accentuato regionalismo a sfondo linguistico. ” Il Belgio è uno stato federale che è formato da Comunità e Regioni” (Art.1 della revisione). Lo stato federale ha, quindi, come sue parti costitutive le Comunità, fondate su basi linguistico – culturali cosi come inteso nella riforma del1980, e le Regioni formate su base territoriale. Con la revisione della Costituzione del 1993 (accordi di Sint Michel) sono state inserite delle rappresentanze dirette delle Comunità e delle Regioni nell’ambito del parlamento nazionale e le Comunità e le Regioni stesse hanno organi consiliari con membri appositamente eletti a tale scopo. E’ ancora immutata, inoltre, la possibilità di creare Agglomerazioni e Federazioni di Comuni, ognuna delle quali con un Consiglio e un esecutivo.

La legge del 5 maggio 1993 ha sancito che i c.d. poteri residui spettassero alle Comunità e alle Regioni, secondo i rispettivi ambiti (art.35 Cost., c.2) ed ha affidato loro ampie competenze in materia di relazioni internazionali (artt.67, 68 Cost.), consentendo ai Governi, con l’assenso dei Consigli, di concludere trattati nell’ambito delle materie di loro spettanza. La stessa legge ha disposto che il Re e il Governo federale venissero avvertiti tempestivamente (prima della firma) delle intenzioni delle Comunità e delle Regioni, introducendo, inoltre, un potere di sostituzione, a favore delle autorità federali, per preservare l’interesse nazionale e per garantire il rispetto degli obblighi internazionali e sovranazionali gravanti sullo stato federale. Sempre nell’ambito delle relazioni internazionali, l’art.167 nuova Cost. ha concesso al Re numerose attribuzioni espresse nei commi 1 (il Re dirige le relazioni internazionali salvaguardando le competenze delle Comunità e delle Regioni) e 2 (il Re conclude i trattati sia pure in accordo con il Governo e con la successiva approvazione della Camera). La figura del Re nel nuovo stato federale ha acquisito una funzione nuova, divenendo simbolo dell’unità del paese, impersonando il “principio della lealtà federale” e ponendosi al di sopra delle forze politiche e dei gruppi etnici. Le Comunità e le Regioni, pur autonome, o meglio, non sottoposte a diretto controllo statale, hanno ancora gli ordinamenti stabiliti dallo stato con “leggi a maggioranza speciale” (art.4 Cost.) e non svolgono funzioni giurisdizionali (i tribunali statali fanno capo a cinque Corti d’appello e a una Corte di Cassazione centrale).

La crisi di funzionamento del governo parlamentare ha portato al superamento di un parlamentarismo pluripartitico, causa dell’instabilità governativa, attraverso una razionalizzazione del meccanismo parlamentare. Un emendamento costituzionale del 1993 ha introdotto per l’elezione della Camera dei deputati il metodo proporzionale senza correttivi che ha fatto crescere, in misura rilevante, il potere dei partiti con la conseguenza di creare governi molto instabili (nel 1994 per formare un governo di coalizione occorrevano 4 dei 13 partiti esistenti); mentre, i revisori della Costituzione del 1993 hanno deciso di far diventare il Senato una “Camera di riflessione”, stabilendo che le leggi ordinarie venissero discusse e votate dalla Camera dei rappresentanti (i deputati sono stati ridotti da 212 a 150), con esclusione per le fattispecie indicate negli artt. 74 e 77 Cost.: approvazione bilanci federali, leggi di revisione costituzionale, leggi di tutela delle comunità etniche. Da allora, è stato stabilito che le proposte di emendamento del Senato fossero richieste da parte di 15 senatori e presentate entro 15 giorni dalla ricezione del progetto. I legislatori hanno stabilito, inoltre, che la responsabilità dei ministri fosse unicamente nei confronti dei deputati, (Art. 101 Cost.: “I ministri sono responsabili di fronte alla Camera dei rappresentanti”.) di cui avrebbero dovuto ottenere la fiducia e mantenerla per tutta la legislatura. I senatori sono stati, inoltre, ridotti da 181 a 71, di cui 40 eletti direttamente dai cittadini (25 nel collegio elettorale di lingua olandese e 15 in quello francese) e 31 suddivisi tra senatori designati dai Consigli delle Comunità francese (10), olandese (10) e germanofona (1) e senatori appartenenti ai gruppi parlamentati linguistici olandese (6) e francese (4). La componente fiamminga risulta, comunque, molto più rilevante di quella vallona; mentre, quella tedesca è rappresentata da un solo senatore. Riguardo ai rapporti tra Governo (affiancato dal Re) e parlamento, le modifiche costituzionali hanno riguardato la nomina del Primo Ministro da parte del Sovrano e lo scioglimento anticipato della Camera dei rappresentanti. In particolare, il Re poteva sciogliere la Camera dei rappresentanti solo se quest’ultima, a maggioranza assoluta dei propri membri: a) avesse respinto una mozione di fiducia al Governo e proposto al Re, entro 3 giorni, la nomina di un successore; b) avesse adottato una mozione di sfiducia nei confronti del Governo e proposto al Re, contemporaneamente, la nomina di un successore del Primo Ministro. In questi casi, il Re doveva obbligatoriamente nominare il Primo Ministro indicato dalle Camere. In caso di dimissioni da parte del Governo federale, il Re poteva sciogliere la Camera dei rappresentanti solo dopo aver ricevuto l’assenso di quest’ultima, con il voto della maggioranza assoluta dei componenti. Lo scioglimento anticipato della Camera comportava un automatico scioglimento del Senato (art.46 Cost.). La nuova Costituzione ha confermato l’istituto della c.d. “sonnette d’alarme”, introdotto con un emendamento del 24 dicembre 1970 (art.38 bis Cost., attuale art.54 Cost.), per facilitare la composizione dei conflitti tra le due grandi Comunità linguistiche nei dibattiti in seno alle Camere. Tale istituto prevede una mozione motivata e firmata da almeno 3/4 dei membri di uno dei gruppi, volta ad evidenziare come le disposizioni di un progetto potrebbero provocare grave danno alle relazioni fra le Comunità. In questo caso, la procedura parlamentare viene sospesa e la mozione deferita al Consiglio dei Ministri, che entro 30 giorni deve esprimere un parere motivato, invitando la Camera interessata a pronunciarsi sul parere e sul progetto. Tale procedura si può applicare una volta sola da parte dei gruppi parlamentari nei riguardi di uno stesso progetto ed è esclusa per il bilancio e per le leggi che richiedono una maggioranza speciale. La Costituzione del Regno del Belgio del 7 febbraio 1831, dopo i numerosi emendamenti introdotti in oltre 60 anni, risulta di difficile lettura nel testo promulgato il 5 maggio 1993, tanto che le Camere e il Sovrano approvano il 17 febbraio 1994 una nuova stesura più organica e scorrevole (Costituzione enumerata) pubblicata sul Moniteur belge. Tale rinumerazione è risultata necessaria, a causa del disordine creato con le numerose revisioni della Costituzione del 1831 ed è stata effettuata dal Re (art.198 attuale) di comune accordo con le Camere costituenti.

3.4  La riforma del 2001

Con la legge speciale del 13 luglio 2001, pubblicata il 3 agosto, sono state introdotte delle innovazioni alla legge del 1980 sulle riforme istituzionali, con l’attribuzione alle Regioni di importanti competenze in materia di politica agricola, pesca marittima ed esportazioni. Molto rilevanti, inoltre, le novità in termini di riforme costituzionali, che hanno determinato l’assegnazione alle Regioni di competenze in tema di poteri subordinati con riferimento, in particolare, alle seguenti materie: composizione, organizzazione, competenza e funzionamento delle istituzioni provinciali e comunali, nonché delle federazioni di Comuni; elezione degli organi provinciali, comunali e intercomunali; cambiamenti e rettifiche dei confini delle Province e dei Comuni. Inoltre, per garantire una certa omogeneità in settori di rilievo, la legge ha disposto che ciascuna Regione disciplinasse, secondo le medesime modalità, la composizione, l’organizzazione, la competenza, il funzionamento, la designazione o l’elezione degli organi dei Comuni, così come la tutela amministrativa.

Non sono, tuttavia, da trascurare alcuni limiti e condizioni alla sfera di attribuzioni regionali. A tale proposito, si può far riferimento alle previsioni del legislatore federale sia di far salve la legge comunale, la legge elettorale comunale, la legge organica di centri pubblici di assistenza sociale, la legge provinciale, il codice elettorale e la legge organica delle elezioni provinciali, nonché le regolamentazioni del regime pensionistico del personale e dei mandatari; sia di rendere i consigli comunali e provinciali competenti in relazione alla composizione, organizzazione, competenza e funzionamento delle istituzioni locali, su tutto ciò che sia di interesse, rispettivamente, comunale e provinciale.

Una limitazione, cui sono sottoposti gli enti locali, si riferisce, invece, al fatto che sia impedito loro di adottare regolamenti, ordinanze o, comunque, atti contrari a leggi o decisioni dell’autorità federale, cosi come delle Comunità, spettando eventualmente ad essi una competenza unicamente esecutiva.

3.4.1 Riforma delle istituzioni locali della Regione di Bruxelles Capitale

Le riforme del 2001 hanno investito anche la Regione di Bruxelles Capitale, con riferimento alla tutela delle rappresentanze dei gruppi linguistici francese e fiammingo, presso le istituzioni locali della Regione stessa. Infatti, con la legge del 13 luglio 2001, è stato inserito un nuovo comma all’art. 279 della legge comunale, in base al quale, in determinate ipotesi, è necessario che almeno un assessore comunale (échevin) appartenga al gruppo linguistico francese e un altro a quello fiammingo.

La legge ha previsto, inoltre, un’ulteriore tutela della componente fiamminga. Infatti, ha disposto che i Consigli di polizia delle zone del distretto amministrativo di Bruxelles Capitale comprendessero un numero minimo, variabile da zona a zona, di membri appartenenti al gruppo linguistico olandese. Nel caso in cui tale condizione non potesse essere soddisfatta, il Consiglio di polizia interessato avrebbe dovuto reclutare i membri mancanti tra i Consiglieri comunali, appartenenti al gruppo linguistico fiammingo, dei Consigli comunali di zona.

3.5  Le revisioni sul federalismo fiscale

In seguito al capovolgimento delle sorti economico industriali tra Vallonia e Fiandre che abbiamo già preso in considerazione nel cap. 3.1, la questione del federalismo fiscale è stata probabilmente il vero motore della federalizzazione. La crescente disoccupazione in Vallonia e l’ingente invio di capitali da Bruxelles verso sud hanno alimentato il favore per i partiti indipendentisti fiamminghi, in primis il Vlaams Blok che faceva del federalismo fiscale la propria bandiera al grido di “Vlaamse geld in Vlaamse handen” (I soldi fiamminghi nelle mani dei fiamminghi).

3.5.1  L’introduzione del federalismo fiscale nel 1989

Le revisioni costituzionali che hanno investito lo stato belga hanno portato anche alla moltiplicazione dei centri decisionali e di gestione del budget. Infatti, mentre fino al 1988, lo stato federale versava annualmente alle Comunità e alle Regioni le somme necessarie per lo svolgimento delle loro attività a partire dall’anno successivo, con la legge finanziaria speciale 16 gennaio 1989 si è attribuita, alle Regioni, autonomia finanziaria attraverso un meccanismo di trasferimenti, nonché un certo potere d’imposizione fiscale, pur circoscritto da limiti particolari. Da precisare che l’autonomia finanziaria (entrate e spese) è stata attribuita sia alle Comunità, sia alle Regioni (pur con un diverso grado di autonomia); mentre, l’autonomia impositiva è stata assegnata solo alle Regioni. In particolare, alle Comunità sono state assegnate le entrate non fiscali collegate all’esercizio delle proprie competenze, una quota del gettito di alcune imposte e la raccolta dei prestiti; mentre alle Regioni le entrate fiscali e un intervento di solidarietà nazionale. L’intervento di solidarietà nazionale è attribuito ad una Regione qualora il gettito pro capite dell’imposta sulle persone fisiche sia inferiore alla media nazionale.

Riguardo alla regione bilingue di Bruxelles, la tassa sulla radio e la televisione fu difficile da applicare in quanto era definita come imposta sulla comunità. Com’era possibile individuare la comunità di appartenenza di un utente dato che non era prevista la dichiarazione obbligatoria della comunità linguistica di appartenenza?Per evitare ulteriori dibattiti venne applicata una tassazione forfetaria. Come già precisato, nel 1989 le Regioni hanno ottenuto, oltre ai trasferimenti finanziari, anche la gestione di alcune imposte, ma il grado di autonomia attribuito loro non solo si differenziava in base alla tipologia dell’imposta, ma poteva investire, al massimo, tre aspetti: le aliquote, la base imponibile e le esenzioni. Con la riforma costituzionale del 1993/94 sono state introdotte le ecotasse riservate esclusivamente alle Regioni ed è stato sancito che ogni imposta dovesse essere istituita con apposita legge e che le imposizioni tributarie delle Province, delle Agglomerazioni, delle Federazioni di Comuni e dei Comuni venissero deliberate dai rispettivi Consigli. Inoltre venne introdotto l’obbligo di votare, ogni anno, le imposte dello stato, delle Comunità e delle Regioni ed è stato disposto che la Camera dei rappresentanti approvasse annualmente un bilancio preventivo ed uno consuntivo per lo stato (art. 174), assegnando il controllo, sulla stretta osservanza, alla Corte dei Conti.

3.5.2  Il federalismo fiscale nella legge del 2001

La legge speciale del 1989, relativa al finanziamento delle Regioni e delle Comunità, è stata modificata dalla legge speciale del 13 luglio 2001 che ha attribuito nuove competenze agli enti sub-statali. Con la legge speciale del 2001, è stata assegnata, infatti, una quasi totale autonomia fiscale alle Regioni. In particolare, la disposizione legislativa ha disposto, in primo luogo, che non vi dovesse essere alcuna necessità di una legge speciale finanziaria per regolare il funzionamento dell’autonomia fiscale delle Regioni. In secondo luogo, ha riconosciuto alle Regioni la titolarità di alcune imposte consentendo loro di modificare l’aliquota, di determinare la base imponibile e di individuare i casi di esonero. Secondo i principi riguardanti l’imposta sul reddito delle persone fisiche, le Regioni hanno un certo margine di manovra sull’aliquota, introducendo delle addizionali o dei crediti d’imposta; mentre, per quel che concerne l’imposta sul valore aggiunto (IVA), il trasferimento dei fondi finanziari è collegato non solo all’indice dei prezzi e al numero degli studenti, ma anche alla crescita economica.

E’ evidente che l’estensione delle competenze ha implicato la previsione di qualche limite. Si può far riferimento, ad esempio, all’obbligo per le Regioni di esercitare le proprie competenze fiscali nel rispetto del principio relativo al divieto di doppia imposizione: in una simile evenienza, la Regione dovrebbe accordarsi con le altre autorità interessate in modo da rimediare alla situazione.

IL SISTEMA PARTITICO BELGA

4.1 La base strutturale del sistema partitico

Sin dagli albori della nascita del suo apparato statale, il Belgio veniva considerato “uno stato con partiti e province ma senza nazione” (Wagstaff, 41,1994). Quasi due secoli dopo, tale definizione si rivela ancora valida nel definire le due grandi fratture del paese: Una prima frattura “orizzontale” (o linguistica) ed una seconda “verticale”. Entrambe incidono sulla scena politica ed entrambe meritano particolare attenzione. La cosiddetta integrazione verticale fu sia causa sia effetto della creazione di larghe coalizioni governative tra il 1910 e la metà degli anni ‘20. Con la questione della nazione ancora in secondo piano, la popolazione era divisa tra cattolici e socialisti ed i tentativi delle élites politiche di adattarsi alle richieste provenienti dalle frazioni rappresentanti questi due cleavages furono i catalizzatori del processo di integrazione interna. Il pilastro cattolico era rappresentato principalmente da un’alleanza elettorale tra i suoi sottogruppi piuttosto che l’organizzazione coerente dei suoi gruppi fondamentali, dagli imprenditori agricoli cattolici e la media borghesia cattolica (Deschouwer.81,1999).

Lo studio dell’integrazione verticale o pillarization è indissolubile dall’integrazione orizzontale o linguistica. Nonostante le discordie sulle leggi linguistiche ed il processo di evoluzione politico-istituzionale di cui abbiamo già trattato precedentemente, i trends centrifughi si sono conseguentemente rinforzati e sono culminati nella riforma del 1993.

4.2 La struttura del sistema

Il Belgio è una monarchia costituzionale e parlamentare che funziona sul principio della democrazia rappresentativa. Il parlamento viene eletto da uno scrutinio popolare plurinominale. Il voto è obbligatorio, segreto e aperto (ciò significa che molti che non godono dello status di cittadini belgi hanno il potere ma non l’obbligo di votare). Sin dal 1831 il Belgio ha un sistema bicamerale formato da Senato e Camera dei rappresentati. Il diritto di voto per le donne è stato introdotto solo nel 1948. Fu concesso in parte nel 1921 quale promessa di riforma futura, ma essendo necessaria una maggioranza dei due terzi per renderlo effettivo, dovette passare ancora molto tempo per far passare la legge (Carstairs, 1980, pp56-57). Paradossalmente, l’ostacolo maggiore alla concessione del pieno diritto di voto all’elettorato femminile era legato alle forze politiche progressiste che temevano un voto conservatore delle donne. Complessivamente si può affermare che il processo di democratizzazione tramite la concessione del diritto di voto, o estensione del diritto di voto all’intera popolazione in Belgio si delineò intorno alla prima guerra mondiale e scaturì in un sistema elettorale che consentiva alle minoranze (maggiormente definite) di essere rappresentate a livello nazionale in un parlamento di fronte al quale i governi erano responsabili (Colomer, 1995,357). Il sistema di rappresentanza è proporzionale e calcolato con la formula d’Hondt.  Un dato interessante è dato dall’elevato tasso di frazionamento che tra il 1945-90 è stato di 0,71 ed è aumentato particolarmente in seguito al 1970 quando i partiti presenti in parlamento passarono da 6 a 11. Detto cambiamento in termini di frazionamento del supporto elettorale e la susseguente frammentazione della legislatura in Belgio è in parte conseguenza di particolari requisiti costituzionali ed in parte dovuta agli sviluppi politici dei partiti. La Costituzione belga prescrive che qualsiasi procedimento legislativo di carattere territoriale relativo a problemi socioculturali debba essere approvato da una maggioranza qualificata e venga convalidato da un nuovo parlamento. In particolare dopo il patto Egmont questi requisiti istituzionali hanno avuto i loro effetti sul processo decisionale che è stato spesso e volentieri procrastinato e da allora politicizzato durante le elezioni. In termini di margini di manovra politica (attuabili nel sistema elettorale belga) le questioni linguistico – territoriali o comunali tagliano in modo trasversale le divisioni di partito esistenti.  Ciò ha portato alla separazione dei partiti (socialisti, cristiani, liberali) sulla base della lingua e, durante gli anni settanta, ha dato vita a partiti territoriali che rappresentano esclusivamente le Fiandre, Vallonia, Bruxelles (Colomer,1995,359).

4.3  Il procedimento elettorale

Solitamente tre mesi prima di un’elezione, ogni partito stila una lista di candidati da presentare per ogni distretto. Ogni partito può nominare tanti candidati quanti sono i seggi disponibili per ogni distretto. La formazione della lista dei candidati è comunque un processo interno ad ogni partito e la posizione del candidato all’interno della lista dipende dalle politiche e dalle leaderships del partito. Le campagne politiche in Belgio sono relativamente brevi (solitamente durano un mese) e presentano forti limitazioni per ciò che riguarda l’uso dei cartelloni e della pubblicità visuale. I partiti possono solo affidarsi ai sussidi statali ed alle quote pagate dai membri. Per prevenire disparità di investimenti, esiste una legge che pone un tetto limite di spesa per le campagne elettorali.

Il voto in Belgio è obbligatorio (generalmente si ha più del 90 % di affluenza) e gli elettori sono in possesso di cinque opzioni elettorali: 1) Votare per una lista intera, dimostrando dunque consenso riguardo alle politiche interne dei partiti di nomina dei candidati. 2) Votare per uno o più candidati individualmente, senza riguardo per la posizione che essi occupano nella graduatoria di partito (voto di preferenza). 3) Votare per uno o più candidati alternativi o sostitutivi. 4) Lasciare la cartella in bianco o renderla invalida. Mentre esistono alcune opzioni per votare più di un candidato, è necessario notare che gli elettori non possono votare per più candidati di liste diverse. Tale azione renderebbe la scheda nulla. Le elezioni per il parlamento federale hanno luogo ogni quattro anni mentre le elezioni per le comunità ed i parlamenti regionali avvengono ogni 5 anni e coincidono abitualmente con le elezioni per il parlamento europeo. Le elezioni per le cariche a livello dei consigli municipali e  provinciali si effettuano ogni 6 anni.

4.4 L’elemento della volatilità

“Their behaviour is that of a wounded animal, caught in a painful trap”.

Questa dichiarazione di Kris Deschouwer mette in luce, senza mezzi termini, l’attitudine dei partiti politici belgi al cambiamento al fine di soddisfare ed affrontare le richieste di un elettorato caratterizzato da un alto livello di volatilità. La ricerca disperata di floating voters  in Belgio non è una cosa nuova. La stabilità elettorale giunse alla fine nel 1965, da quando il sistema partitico e le istituzioni politiche iniziarono a subire gli importanti cambiamenti che abbiamo già preso in considerazione. Cambiamenti che sono ancora in atto oggi (Deschouwer, 179,2004). Dei tredici partiti rappresentati in parlamento nel 1991, sei hanno adottato un nuovo nome. Uno si è diviso in due partiti, uno è semplicemente scomparso e un altro è diventato parte di un fusion party più grande.

La maggior parte dei partiti belgi dichiarano di essere profondi conoscitori della volatilità elettorale del paese. Al momento di apporre una modifica, lo fanno in una maniera molto sicura anche se la storia recente ci insegna che la loro attitudine è quella di un trial and error ossia una serie di tentativi azzardati e, escludendo il caso dei partiti regionalisti, spesso inefficaci.

Nel periodo che va dall’introduzione del suffragio universale maschile nel 1918 alle prime elezioni generali del 1965, il paese aveva un sistema politico stabile e prevedibile. Vi erano due partiti dominanti – I Cattolici (che presero il nome di Cristiano democratici dopo il 1945) ed i Socialisti – ed un terzo partito minore: I Liberali. Nel 1961 i tre partiti controllavano il 91% dei voti (Dati ULB). In Belgio furono due fratture in particolare che causarono la formazione di tale sistema. La prima frattura era quello dello stato contro la chiesa e il secondo era quello del labour vs capital (Van Haegendoren,1967). La terza frattura, della quale ho già ampiamente trattato, era quella linguistica. Negli anni sessanta e settanta i movimenti regionalisti si strutturarono in formazioni partitiche e a partire dal 1971 il loro ruolo sulla scena politica divenne rilevante (Deschouwer,1999,82). A dispetto delle altre formazioni in campo, i partiti regionalisti ebbero la forza di dare un messaggio molto chiaro e diretto che non lasciava interpretazione all’elettorato: attuare riforme  per il passaggio dallo stato unitario ad una federazione che prenda in considerazione le richieste di autonomia di Fiamminghi e Valloni. Ma dopo la riforma Eyskens (Vedi cap. 3) il loro ruolo si esaurì momentaneamente.

4.5  I partiti e la costruzione del panorama partitico

Il Belgio è stato frequentemente descritto come un esempio unico di federazione (senza considerare l’ormai caso estinto della Cecoslovacchia) in particolar modo riguardo a due aspetti: a livello di percezioni popolari possiamo affermare che lo stato sia già separato in due sezioni etnico – linguistiche distinte e particolarmente autonome ed il grosso dell’attività politica si svolge in direzione di questi organi decentralizzati. Ciononostante, contrariamente alle perpetue paure di splitsing, la dimensione della politica nazionale o federale non è del tutto scomparsa. Tale dimensione si rinforza specialmente nel momento della costruzione di un concetto di Belgio come  unica entità nei riguardi della cooperazione nell’Unione Europea. L’esistenza di un, sebbene limitato, governo centrale, è mantenuta per una serie di ragioni delle quali, l’influenza del sistema partitico a livello federale sembra essere la più rilevante.

I partiti politici in Belgio sono organizzati secondo linee etnolinguistiche lungo le quali ogni partito (elettoralmente rilevante) ha una propria formazione distinta nelle Fiandre ed in Vallonia. Nonostante ciò il luogo di formazione delle (complicate) coalizioni di governo è il parlamento federale. Le tre maggiori alleanze politiche sono quelle dei Cristiano – Sociali, rispettivamente nominati Parti Social Chrétien (PSC) e Christelijke Volkspartij (CVP); I partiti socialisti, divisi in Parti Socialiste (PS) and Socialistische Partij (SP); I liberali, divisi in Mouvement Reformateur (MR) e Vlaamse Liberal Democraten (VLD). Il Volksunie (VU) è stato per decenni il partito rappresentativo del nazionalismo fiammingo mentre la controparte francofona del Front Démocratique des Francophones si è imposto soprattutto come partito a tutela dell’affermazione dei diritti della popolazione francofona di Bruxelles. Una sfida al sistema, giunse da parte del partito indipendentista fiammingo di estrema destra Vlaams Blok (VB), caratterizzato da un impronta chiaramente separatista e xenofoba e dall’ omologo francofono, ma numericamente molto più ristretto, del Front Nationale (FN). Negli ultimi dieci anni i maggiori partiti hanno vissuto importanti rivoluzioni interne e cambi di alleanze e nomi. Nonostante questi numerosi cambiamenti in un tempo relativamente breve, tra il 2007 ed il 2009 il sistema è entrato in una grave crisi istituzionale che ha portato il Belgio ad una assenza di governo per 192 giorni (evento senza precedenti nella storia moderna occidentale). Ho voluto indicare sopra i nomi storici dei partiti ossia le sigle mantenute da questi partiti più a lungo.  Entrerò più nel dettaglio della storia individuale di ciascun partito nel seguente capitolo.

4.5.1 I Partiti cattolici

I cattolici  fiamminghi: Dal CVP al CD&V

In seguito alle divisioni partitiche lungo linee etno-linguistiche, nel 1968 il blocco Cattolico si scisse nel Christelijke Volkspartei e Parti Social Chretien. Oggi i partiti sono stati rinominati Christen-Democratisch en Vlaams (CD&V) e Centre Démocrate Humaniste (CDH). Il CVP vanta legami storici sia con importanti sigle sindacali come l’ACV ed importanti organizzazioni corporative come Unizo e Boerenbond (Associazione dei grandi produttori agricoli).

Il partito è stato quasi continuamente al governo dalla sua nascita nel 1944 fino al 1999 quando la coalizione Liberal-Socialista guidata da Guy Verhofstadt li mandò, per la prima volta in 45 anni, all’opposizione sia a livello federale sia nel parlamento fiammingo. Il partito adottò un nuovo statuto nel 1993 che permetteva a tutti membri di votare per il presidente attraverso una sorta di elezione postale (metodo introdotto originariamente dai liberali del VLD). Il primo presidente eletto con questo sistema fu John Van Hecke, che oggi è un membro del VLD. Un cambiamento più radicale avvenne tra il 2001/02 quando il partito cambiò il proprio nome al fine di dare un’idea di una notevole rottura con il passato. La nuova sigla, come abbiamo visto in precedenza, divenne Christen Democratische en Vlaams (CD&V). In realtà vi furono numerose discussioni riguardo al mantenimento o meno della “C” di ”cristiano” nella sigla del partito. La decisione fu alla fine di mantenerla “ma se questo sia stata o no una buona scelta è ancora da vedere” (Deschouwer,194,2004). Dal 2003 il partito è stato guidato da Yves Leterme che, a dispetto delle previsioni ottimistiche causate dal mancato appoggio alla coalizione di centro-sinistra dei Verdi, giunse come terzo partito dietro al VLD e il cartel party del SP.A- Spirit. In seguito a questa sconfitta, Jo Vandeurzen prese il posto di Leterme. Molto del consenso storico dei cattolici nelle zone rurali delle Fiandre si perse in favore degli ultranazionalisti del Vlaams Belang. Le elezioni Fiamminghe del giugno 2004 furono decisive in quanto il CD&V , insieme ai nazionalisti moderati del Nieuw Vlaamse Alliantie (NVA), ripresero la loro posizione storica come partito di maggioranza e Leterme venne nominato Ministro Presidente delle Fiandre. Prima delle elezioni del 2007, sebbene fosse restio ha dichiarare apertamente le sue aspirazioni di Primo Ministro, Leterme guidò la lista per il Senato per il patto elettorale CD&V/NVA. Il gruppo divenne la formazione politica di maggioranza ma il processo di formazione del governo rimarrà in stallo per quasi 200 giorni. Effettivamente il partito rimane legato alla fedeltà dei cattolici praticanti che è una popolazione in rapido declino demografico. Questo spiega in parte le forti sconfitte elettorali da parte del partito negli ultimi 10 anni (Deschouwer, 2002).

 I Cristiano-Democratici valloni: Da PSC a CDH

Il Parti Social Chretien (PSC) venne ufficialmente fondato nel 1972. Nelle elezioni del 1999 fu uno dei partiti che soffrì di più l’avvento dei nuovi partiti anti-sistema e venne fortemente penalizzato dalla scoperta di diversi scandali riguardanti la politica nazionale come il caso di Marc Dutroux (Dal 24 giugno del 1995 al 9 agosto del 1996 ha sequestrato, drogato, seviziato, ucciso, ritratto bambine e ragazzine per fare film pedo-pornografici. Questi atti venivano perpetrati con dei complici nel territorio belga) che causò enormi proteste contro il sistema giudiziario del paese e l’emergenza della diossina in carni di pollame (durante questi scandali il PSC era parte del governo di coalizione Dehane). Il declino del partito è anche riconducibile all’inesorabile declino di aderenza al cattolicesimo nel sud del Belgio. Nel 2001 il partito visse una serie di importanti riforme interne con la stipulazione della “Carta dell’Umanismo Democratico” (adottata nel 2002) con la funzione di vera e propria costituzione che porterà alla nascita del Centre Humaniste Démocrate. Questa rivoluzione istituzionale non influì particolarmente nelle elezioni del 2003 dove il partito rimase all’opposizione. Alle elezioni regionali del 2004, il partito tornò al governo a Bruxelles (insieme al Parti Socialiste e Ecolo), in Vallonia e nella comunità francofona insieme PS. Il presidente attuale è Joëlle Milquet.

L’ideologia proposta dal partito viene definita come “umanismo democratico ispirato dal personalismo che affonda le proprie radici nell’umanismo cristiano”, insieme a politiche economiche paradossalmente riconducibili al centro sinistra, supportando l’interventismo statale e ponendosi come paladini dell’unità del Belgio.

4.5.2 I  socialisti

I socialisti fiamminghi: Dal SP al SP.A.

La storia dei partiti socialisti belgi risale alla fondazione del Parti Ouvrier Belge (POB) in francese e Belgische Werkliedenpartij (BWP) in fiammingo, nel 1885 a Bruxelles, quale fusione di oltre cento tra movimenti ed associazioni operai. Negli anni ’90 del XIX secolo, il POB si impegnò per l’introduzione del suffragio universale e per la costituzione di cooperative e mutue operai. Nel 1894 venne approvata la Carta di Quaregnon, dal nome della città dove fu firmata, che definì i valori del partito. Il POB si presentò come il partito di tutti gli oppressi e gli sfruttati. Nello stesso anno i primi deputati socialisti entrarono in parlamento. Nel 1916, gli “operaisti” presero, per la prima volta, parte al governo. Nel 1919 venne introdotto il suffragio universale ed il POB ottenne ben 70 deputati. Nel 1921, come il Partito Socialista Italiano, anche quello belga subì una scissione ad opera della componente massimalista, che diede vita al Partito Comunista del Belgio. Nel 1925 il POB divenne il primo partito belga e si alleò con i deputati “cristiano-democratici” del Partito cattolico. Dopo un breve tripartito, il POB ritornò all’opposizione nel 1935. Nel 1936 il governo belga decise la neutralità del Paese nello scontro tra AngloFrancesi e Tedeschi. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il Belgio, nel 1940, venne invaso ed il re Leopoldo III decise di arrendersi senza condizioni. Il segretario del POB, Henri de Man, sciogliendo il partito, invitò gli iscritti ad allinearsi alla politica del re. Molti militanti, però, preferirono dedicarsi alla resistenza all’occupazione nazista. Nel 1945, alla fine della guerra, venne fondato il Partito Socialista Belga (PSB). Dopo l’abdicazione di Leopoldo III, il Belgio si divise soprattutto in materia di politiche sociali e scolastiche. Il partito cattolico, al governo dal 1950 al 1954, favorì decisamente l’insegnamento privatistico, mentre i socialisti preferirono l’insegnamento pubblico. Negli anni ’70, i socialisti si impegnarono per assicurare al Belgio una soluzione “comunitaria e regionalistica”, per superare le divisioni linguistico – culturali. I fiamminghi ottennero l’autonomia culturale richiesta, mentre i valloni non riuscirono ad ottenere quella economica. Questa situazione acuì le divisioni linguistiche interne ai vari partiti, compreso quello socialista. Tali divisioni culmineranno, nel 1978, con la scissione tra Partito Socialista (Vallonia) e Partito Socialista della Differenza (Fiandre). Alle elezioni del 1991, i Socialisti registrarono il loro peggior risultato di sempre. La sfida del Vlaams Blok fu devastante. Il potere del Socialistiche Partij nel sistema belga non è tanto frutto della sua forza elettorale ma è più riconducibile ai forti legami con il Parti Socialiste vallone. Il predominio socialista nel sistema partitico vallone ha trasformato i socialisti fiamminghi in importanti partner a livello federale. Questo fu il caso anche nel 1991, ma il successo del Vlaams Blok fu sia ideologicamente che elettoralmente così devastante che il partito iniziò a progettare un cambiamento e un rinnovamento interno in modo da rispondere all’erosione della lealtà degli elettori. Nel 1992 il partito abolì il Consiglio di Partito – un congresso intermediario che si riuniva saltuariamente – è lo sostituirono con un consiglio ramificato di presidenti e segretari. L’idea  fu quella di creare un corpo più vicino ai membri ordinari. L’effetto maggiore di tale provvedimento fu una forte riduzione dei poteri a livello dei seggi più ampi cosicché la leadership del partito centrale possa godere adesso di maggiori poteri effettivi. Anche la procedura di elezione del presidente venne modificata esattamente come fecero i Cristiano-Democratici, passando dal voto segreto all’utilizzo del voto postale da parte dei membri. Per riacquisire rilevanza politica, il partito nel 1995 tentò di costruire una dubbia alleanza con I Verdi, il Volksunie e i Laburisti cattolici del ACW, ma il progetto non ebbe alcuna attuazione. Nel 2001 il partito cambiò il proprio nome diventando SP.A. dove la “A” sta per  Anders ( Gli altri o diversi ). Il messaggio fu chiaro: Anders era anche la prima parola del nome del partito dei Verdi ( Anders Gaan Leven ) e SP.A. era anche il nome di una associazione Fiamminga Verde-Socialista. Il SP.A. si alleò con una nuova formazione progressista denominata SPIRIT, Sociaal, Progressief, Internationaal, Regionalistisch, Integraal-democratisch en Toekomstgericht (Sociale, Progressista, Internazionale, Regionale, Integralmente Democratico, Orientato al Futuro), che elettoralmente era poco rilevante. Il successo fu inaspettato e nel 2003 la coalizione SP.A. –  SPIRIT ottenne il 24% dei voti.  Il SP.A. era parte della cosiddetta coalizione “viola”del Primo Ministro Guy Verhofstadt formata da 4 partiti liberali e socialisti sia francofoni che fiamminghi dal 12 Luglio 1999 fino al (fatidico) 10 giugno 2007.  Nel 2004, il partito ottenne un aumento di voti anche nel parlamento fiammingo rispetto al 1999. Ad ogni modo la reputazione nel nord del paese del leader Steve Stevaert era in discesa. La guida del partito venne presa da Caroline Gennez in seguito alla nomina di Stevaert di governatore del Limburgo. Johan Vande Lanotte, ex Ministro del Budget del governo federale, fu il capo del partito dal 2005 al giugno 2007 ma si dimise in seguito alla sconfitta elettorale. Nel gennaio 2009 il partito cambiò il suo nome in “Socialisten en Progressieven Anders”. Attualmente a livello federale, contrariamente alla controparte francofona del PS, il SP.A. non fa parte del governo di Van Rompuy.

I socialisti valloni         

Il Parti Socialiste ha un ruolo di primo ordine sulla scena politica francofona in Belgio a partire dal secondo dopoguerra. In seguito alla scissione del 1978, il partito è stato quasi ininterrottamente il partito francofono più rilevante. Attualmente è presente a tutti i livelli di governo (Governo Federale, Regione Vallona, Comunità francofona, Regione di Bruxelles Capitale) facente parte di governi coalizione. A livello internazionale, il partito fa parte de L’Internazionale Socialista ed a livello europeo fa parte del Partito Socialista Europeo.

Nel 1945, alla fine della guerra, venne fondato il Partito Socialista Belga (PSB). Dopo l’abdicazione di Leopoldo III, il Belgio si divise soprattutto in materia di politiche sociali e scolastiche. Il partito cattolico, al governo dal 1950 al 1954, favorì decisamente l’insegnamento privatistico, mentre i socialisti, succeduti al governo, preferirono l’insegnamento pubblico. Nel anni ’60, invece, cominciarono a farsi sentire i “problemi linguistici e nazionalistici“. Il Belgio doveva riuscire ad equilibrare i rapporti tra le due “nazionalità”, quella vallona e quella fiamminga. Anche i socialisti vissero queste profonde divisioni, che portarono, nel 1968, alla nascita di Rode Leeuwen (Linea Rossa), una partito socialista fiammingo in aperta contrapposizione con il PSB, da sempre unitario. Negli anni ’70, i socialisti si impegnarono per assicurare al Belgio una soluzione “comunitaria e regionalistica”, per superare le divisioni linguistico – culturali. I punti cardine del programma del PS durante gli anni 1970 erano improntati alla concretizzazione della rivendicazione secondo la quale la Vallonia al momento della riforma del 1970 (Vedi cap.3.1) non ottenne una decentralizzazione della politica economica adeguata. I fiamminghi ottennero l’autonomia culturale richiesta, mentre i valloni non riuscirono ad ottenere quella economica. Tali divisioni culmineranno, nel 1978, con la scissione del partito lungo linee linguistiche. Il PS sarà al governo fino al 1981 e di nuovo dal 1988, insieme al Partito Cristiano Sociale, oggi Centro Democratico Umanista. In questi anni il PS si impegnerà per accentuare la natura federale dello stato e per garantire pari possibilità alle varie comunità linguistiche. Nel 1993, il PS contribuirà all’istituzione della Regione Bruxelles – Capitale. Alle elezioni del 1995 il governo uscente sarà confermato, ma il PS otterrà l’11,9% dei voti, dato ulteriormente peggiorato nel 1999 (10,2%). Nel 2003, il PS conseguì il 13% dei voti ed entrò a far parte del governo guidato dal liberale Guy Verhofstadt (VLD). Nelle elezioni per la Regione di Bruxelles, il PS nel 1999 ottenne il 16% ed ottenne 13 seggi. Nel 2003, il partito ha avuto un consistente incremento dei voti, giungendo al 28,8% dei voti e conquistando 26 seggi, tanto da aver espresso il capo del governo con Charles Picqué.Anche in elezioni del 2004, il PS confermò di essere il primo partito della regione con il 36,9% dei voti, contro il 29,5% del 1999. Alle politiche del 2007, i socialisti valloni hanno visto calare i propri consensi ed hanno perso il primato in termini di seggi sia a livello nazionale, che regionale. Il PS è sceso dal 13 al 10,9%, da 25 a 20 seggi.

4.5.3 I Liberali                                                                                      

Il movimento liberale è stato rappresento in Belgio dal Partito Liberale, fondato nel 1846, un partito unitario, comprendente cioè sia valloni che fiamminghi. Il PL si caratterizzò per posizioni alquanto anti-clericali e per una politica attenta nei confronti delle classi meno abbienti, in particolare quella operaia. Fino agli anni ’20 del ‘900 il PL rappresentò la componente di “sinistra” della politica belga, in contrapposizione, spesso, con i partiti di ispirazione cristiana. Un po’ come è successo anche in Gran Bretagna con il Partito Liberale o in Svezia con i Liberali. Dagli anni ’20 in poi, però, con l’affermarsi del movimento socialista, i liberali, espressione della media “borghesia“, cominciarono ad allearsi con i partiti conservatori. Nel 1962, a causa della crisi del Congo Belga, si verificò una scissione nelle due anime liberali, quella vallona prese il nome di Partito della Libertà e del Progresso (PLP), che abbandonò le posizioni anticlericali, e quella fiamminga, che diede vita al Partij voor Vrijheid en Vooruitgang (PVV), oggi Democratici e Liberali Fiamminghi, che diventarono però completamente autonomi nel 1971. Nel 1976, il PLP ed il Raggruppamento Vallone, un insieme di partiti federalisti, diedero vita al Parti des Réformes et de la Liberté de Wallonie (Partito delle Riforme e della Libertà della Vallonia) (PRLW). Nel 1979, i liberali valloni si riunirono ad un gruppo di liberali di Bruxelles e diedero vita al Partito Riformatore Liberale (PRL). Nel 1981, i liberali, sia fiamminghi che valloni, ottennero il loro miglior risultato alle elezioni nazionali.

I liberali fiamminghi: Dal PVV al VLD

Essendo il secondo partito nelle Fiandre ed essendo il suo partner, il Mouvement Reformateur, il secondo in Vallonia, la famiglia liberale venne spesso automaticamente esclusa dal governo Guy Verhofstadt, il leader del Partij Voor Vrijheid en Vooruitgaan (PVV) intraprese una profonda riforma del partito per fare in modo di controbilanciare il dominio dei cristiano democratici nelle Fiandre. Prima delle elezioni del 1991 un Burgermanifest nel quale difendeva un progetto di democrazia più diretta e si schierava contro l’immobilità riformatrice dei Cristiano – Democratici. Il partito cambiò il nome in Vlaamse Liberal en Democraten e mutò radicalmente la sua struttura interna. Le due caratteristiche introdotte più importanti furono l’elezione diretta del presidente e dell’esecutivo del partito e la conclusione dei rapporti con tutte le organizzazioni liberali ausiliarie. Questa riforma rappresentava un modello di democrazia diretta da esportare alla società intera. Durante tale processo di rinnovamento, il presidente dei nazionalisti del Volksunie creò un “Centro per il rinnovamento politico” che si unirà in seguito al VLD. La riforma del partito fu fortemente pubblicizzata e il VLD venne percepito come l’unico e solo partito che proponesse effettivamente un cambiamento ed un rinnovamento che potesse cambiare profondamente il sistema politico. Nei primi anni 1990 i sondaggi esprimevano fiducia per il partito che in realtà ebbe uno scarso esito in seguito alle elezioni europee del 1994 e le generali del 1995. Fu solo nel 1999, che i Cristiano-democratici subirono una pesante sconfitta ed il VLD diventò il partito numero uno nelle Fiandre.

Il partito è stato al governo ininterrottamente dal 1999. Tre volte ha partecipato nel governo di Guy Verhofstadt dal 1999 fino a marzo 2008. Tra il 2003 ed il 2007 ha fatto parte del cartello SP.A. con il PS e il Mouvement Reformateur.  L’ideologia del VLD iniziò alla destra del panorama politico proponendo un imprinting di chiaro stampo thatcheriano sotto la guida di Verhofstadt. Sui temi economici però, sotto l’influenza di Dirk Verhofstadt (fratello di Guy) , il partito prese posizioni più centriste abbandonando sostanzialmente la dottrina del mercato libero assoluto. Nel Novembre 2006, il leader del partito Bart Somers dichiarò che “un partito liberale come il VLD può essere solo progressista e sociale” (nota) Dal 2000 al 2004, durante il secondo il secondo governo Verhofstadt il VLD è stato accusato di aver perso gran parte del suo aspetto ideologico. Molti teorici del partito come Boudewin Bouckaert, presidente di Nova Civitas (una think tank, ossia un gruppo di esperti e ricercatori, fiamminga basata sui principi del liberalismo classico in combinazione con il conservatorismo anglosassone) hanno criticato pesantemente le posizioni del partito. Altri provano risentimento riguardo alla posizione del partito nei confronti dei compromessi che hanno fatto si che il PS potesse guadagnare una posizione rilevante nella determinazione delle politiche federali. Nel 2004 il VLD si unì al partito liberale minore Vivant sia per le elezioni fiamminghe che Europee. Il gruppo VLD-Vivant perse pesantemente contro CD&V e il Vlaams Blok. Questa sconfitta che devastò il consenso del partito nelle Fiandre, le faide interne, il sostegno al diritto di voto agli immigrati e l’applicazione di una politica economica di scarso successo vennero considerati come le cause maggiori della sconfitta elettorale.

I liberali valloni

Il Mouvement Réformateur è una federazione centrista nata dall’incontro di quattro partiti: Parti Réformateur Libéral (PRL)Front Démocratique des Francophones, federalisti francofoni; Mouvement des Citoyens pour le Changement (MCC), cristiano democratico; Partei für Freiheit und Fortschritt (PFF), il ramo di lingua tedesca del PRL.

Il partito può essere considerato l’incontro tra il movimento liberale, quello cristiano moderato e quello federalista belga. In Europa aderisce al Partito Democratico Europeo. Nel 1999, si svolse il primo congresso della federazione PRL-FDF-MCC, che presentò proprie liste alle elezioni europee. Il Movimento Riformatore nasce ufficialmente il 22 marzo del 2002. Alle elezioni politiche del 2003, MR ha ottenuto 11,4% dei voti alla Camera ed il 12,1 al Senato, eleggendo 24 deputati e 5 senatori. Alle elezioni regionali (2004) in Vallonia ha ottenuto il 24,3% dei voti, ha eletto 20 deputati, perdendone uno. Nella Regione di Bruxelles ha, invece, conquistato il 32,5% dei consensi ed ha eletto 25 seggi, 2 in meno. Alle elezioni politiche del 2007 MR è passato al 12,5% dei voti, con un incremento dell’1,1%, anche se i seggi sono passati da 24 a 23. Con il 31% dei consensi, i Riformatori si sono confermati il primo partito di lingua francese in Belgio. Il peso delle diverse componenti culturali al momento della nascita di MR è calcolabile leggendo il numero di delegati che lo Statuto riconosceva ad ogni partito fondatore: la delegazione del PRL composta da 4.200 membri; La delegazione del PFF composta da 200 membri; La delegazione del FDF composta da 1.000 membri; La delegazione del MCC composta da 500 membri.”

Evidente la preminenza della componente liberale, tanto da poter affermare che MR, visto anche il suo essere membro “osservatore” del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori, può essere considerato un partito liberale di centro. Il sito del MR afferma che i partiti federati nel movimento”propongono ai cittadini una nuova formazione politica, moderna, riformatrice e fortemente centrista”. Lo statuto afferma che “il Movimento Riformatore fonda la sua azione sui valori dell’umanesimo democratico: il primato della persona umana e la sua dignità; l’uguaglianza dei diritti e delle possibilità per tutti; il rispetto delle libertà fondamentali; la responsabilità; la solidarietà sociale; il lavoro; la libertà d’iniziativa e di creare; la libera scelta del modo di vivere (famiglia, scuola, salute, associazioni, …); la libertà di pensiero e d’espressione; la tolleranza ed il diritto alla differenza; la partecipazione attiva dei cittadini al dibattito politico.”

4.5.4. Le sfide (vincenti) degli ultranazionalisti fiamminghi: Vlaams Block e Vlaams Belang,

Il Vlaams Belang, ( letteralmente “Interesse dei Fiamminghi” ) pone come suoi obbiettivi principali l’indipendenza delle Fiandre, strette limitazioni all’immigrazione ed obbligatorietà degli immigrati di conoscere la cultura e la lingua fiamminga. Il partito, che a partire dagli anni 1990 ad oggi ha riscosso notevoli consensi nei centri nevralgici dell’economia fiamminga, rigetta il multiculturalismo, benché accetti l’idea di una società multietnica fintanto che i non-fiamminghi assimilino la cultura fiamminga. Sebbene le politiche del partito siano riconducibili alla dottrina conservatrice, la maggior parte dei teorici definiscono il partito come di “estrema destra”.

Il partito nasce dalle ceneri del Vlaams Blok, il partito che dovette cambiare nome in seguito ad un controverso processo che ebbe luogo nel 2004 in seguito al quale la maggior parte dei partiti belgi fecero un accordo chiamato cordon sanitaire. Ritenendo la politica di Interesse Fiammingo incompatibile con i valori democratici, tutti i partiti si sono impegnati a non considerare il VB come possibile partner in una coalizione elettorale; il Re non convoca i rappresentanti di questo partito.  Il VB fu anche il diretto interessato della cosiddetta Legge Draiig ( Legge di scarico, di prosciugamento) passata dal governo federale nel 2005 al fine di tagliare i fondi di stato a partiti “non democratici”. Se consideriamo le forti restrizioni riguardo i finanziamenti da parte di privati ai partiti possiamo dire che i fondi di stato sono l’unica vera fonte di sostentamento dei partiti e che il VB veniva de facto eliminato.

Come il suo predecessore il Vlaams Blok, il Vlaams Belang è parte dell’ideologicamente eterogeneo movimento fiammingo. Quando il Volksunie nel 1970 sotto la presidenza di Hugo Schiltz cominciò ad attrarre l’attenzione di uomini politici di stampo liberale e accettò l’avvento del federalismo, l’ala più nazionalista del partito dimostrò il proprio malcontento. In particolar modo in seguito alla partecipazione al Governo Tindemans del 1978 al Patto Egmont. La frazione dissidente creò due partiti minori: il Vlaams Nationale Partij (VNP) ed il Vlaamse Volkspartij (VVP). I due partiti parteciparono alle elezioni del 1978 come una coalizione sotto il nome di Vlaams Blok e si fonderanno poi definitivamente in un partito unico. L’ascesa del Vlaams Blok iniziò nel 1991 quando i suoi membri in parlamento passarono da 2 a 12.

Il processo al Vlaams Blok    

Nel 2002, tre organizzazioni no-profit che effettivamente costituivano il nucleo del Vlaams Blok, vennero denunciate dal Centro delle Pari Opportunità ed Opposizione al Razzismo e dalla Lega Belga per i Diritti Umani per “incitamento all’odio ed alla discriminazione”. Le organizzazioni vennero condannate dalla Corte d’Appello di Ghent nell’Aprile del 2004 per “ripetuto incitamento alla discriminazione”. In seguito al verdetto, il Vlaams Blok si smobilitò. La leadership del partito si riunì e formò il Vlaams Belang. Stando alle dichiarazioni dei Servizi di Sicurezza di Stato, questo passaggio costituì un mero atto formale. Il partito venne infatti forzato a cambiare il proprio nome al fine di liberarsi degli elementi razzisti per i quali venne condannato. La campagna mediatica mossa dal VB si basò infatti sulla creazione di un’immagine di rispettabilità e il motto storico del partito , “Eigen volk eerst” ( Il nostro popolo in primis), venne abbandonato. Il processo ricevette comunque molte critiche e venne etichettato, in particolar modo da esponenti del VB e Nieuwe Vlaams Alliantie, come un processo politico eseguito ad hoc e antidemocratico. Le elezioni municipali del 2006 rappresentarono un punto di svolta. Il consenso per il VB crebbe esponenzialmente ed ancora oggi il consenso del partito supera il 10% a livello nazionale con picchi superiori al 35% nella circoscrizione di Anversa.

4.5.5 I Verdi

 Agalev, Groen!, Ecolo

La sigla originale del partito stava per Anders Gaan Leven (Inizia a vivere diversamente). Questo al momento della registrazione del nome del partito alle autorità competenti il nome venne improvvisato in Anders Gaan Abeiden Leven En Vrijen (Lavorare, vivere e avere orientamenti sessuali differenti) che suonava provocatorio ma era legalmente corretto. Come ogni partito verde tradizionale, i valori fondamentali di Agalev si basano sulla promozione dell’ecologia, della pace e democrazia

Nel suo attuale programma politico questi tre valori si sono fusi in un’unica concezione universale basata sul mantenimento della “qualità della vita”. Il partito nasce in realtà dalle radici del movimento sociale Agalev, fondato dal gesuita Luc Versteylen nel 1970 il quale proponeva un connubio di valori definibili come Cattolicesimo progressista e ambientalista. Il movimento originariamente supportava i partiti tradizionali maggiori al fine di promuovere la consapevolezza necessaria della tutela dell’ambiente. Il movimento però non ottenne durante tutti gli anni 1970s l’attuazione di alcuna delle promesse fatte dai maggiori partiti (in particolar modo i cristiano-democratici)  ed in seguito a discussioni interne al movimento, si decise di formare un partito omonimo che nelle elezioni Europee del 1979 ottenne il 2,3% delle preferenze ma nessun seggio. Nelle elezioni del 1981 il partito ottenne il 4% e due seggi alla Camera ed un seggio al Senato. Il partito venne però ufficialmente fondato nel 1982 rimanendo separato al movimento in quanto vi era una considerevole fazione che optò per la non intromissione a livello politico. Nelle elezioni del 1982 il partito ottenne più del 10% in diverse municipalità e ciò rappresentò un risultato eccezionale considerando quanto il partito fosse di recente formazione. In un primo momento il partito funzionò come un protest party che incitava il governo ad una maggiore azione contro l’inquinamento ambientale e la povertà nel terzo mondo. Il partito si concentrava prettamente su questioni ambientali come proteste a livello locale contro l’utilizzo dell’energia nucleare. Nel 1991 ottenne ben 7 seggi in parlamento e vista la crescente rilevanza politica, nel 1992 al partito venne chiesto di supportare la modifica costituzionale di Sint Michiels, fondamentale per la trasformazione del Belgio in una federazione in cambio dell’applicazione della prima ecotassa in Belgio.

Nel 1999 lo scandalo della diossina fece si che Agalev e la controparte vallona Ecolo (della quale parlerò in maniera più dettagliate in seguito) potessero ottenere il 7% e 9 seggi in parlamento entrando a fa parte della famosa coalizione Viola (o coalizione Arcobaleno). A livello nazionale, i Verdi sono stati capaci di attuare processi di legislazione riguardanti numerosi green issues, i matrimoni tra omosessuali, la legalizzazione di migliaia di stranieri illegali e avere un’aspettativa di spesa del 0,7% del budget in politiche di sussidi allo sviluppo. Ad ogni modo, le crisi non sono mancate. Nel 2002 Magda Aelvoet lasciò il gabinetto in segno di protesta ad una legge che non impediva il commercio di armi con il Nepal  (che all’epoca era in una situazione di guerra civile) e il ministro di Ecolo Isabelle Durant si dimise in seguito all’approvazione di una legge che accettava il passaggio di voli notturni sopra la città di Bruxelles. Il 2003 rappresentò un punto di svolta. Le crisi interne ebbero eco a tutti i livelli di governo ed il partito perse tutti i suoi seggi e i ministeri verdi delle Fiandre. Questa situazione portò Mieke Vogels e Vera Dua a presentare le dimissioni. Il partito non partecipò al cartello SP.A- Spirit in modo da continuare la propria strada come partito verde progressista indipendente. Il partito cambiò la struttura interna ed il nome in Groen! e nel 2007 riottenere 4 seggi.

Ecolo è stato fondato nel 1980 ed è stato il primo partito ambientalista ad entrare in un parlamento nazionale. La parola Ecolo è l’acronimo di Écologistes Confédérés pour l’ Organisation de Luttes Originales (Ecologisti confederati per l’organizzazione di lotte originali). Ecolo è membro dei Verdi europei. Il partito è presente unicamente nelle regioni belghe di lingua francese (Vallonia e parte di Bruxelles). Nelle regioni di lingua olandese, infatti, sono presenti i Groen!, che hanno, però, una connotazione più marcatamente di sinistra rispetto a Ecolo. Nelle elezioni nazionali del 1981, 1985 e 1987, Ecolo si attestò poco sopra il 2% eleggendo tra i 2 ed i 5 deputati. Nel 1991 e 1995, i Verdi francofoni hanno migliorato la propria prestazione ottenendo, rispettivamente, il 5,1 ed il 4%. Il 1999 è l’anno dell’affermazione di Ecolo (7,4% dei voti) e dell’ingresso nel governo all’interno di un’insolita coalizione detta “Arcobaleno”, composta da socialisti (SP.a e SP), liberali (VLD e MR) ed ecologisti (Ecolo e Groen!). Ecolo otterrà il Ministero dei Trasporti ed un sottosegretario all’Energia ed allo Sviluppo. Il successo di Ecolo fu dovuto alla crisi della diossina, che aveva posto all’attenzione dell’opinione pubblica i temi ambientali. Nel 2003, Ecolo, a causa delle posizioni eccessivamente radicali in ambito ambientale, ha dimezzato i propri consensi ed è sceso al 3,1% dei voti. Un andamento analogo si è avuto nelle elezioni in Vallonia. Nel 1995, Ecolo conseguì il 10% dei voti, salito al 18,2% nel 1999, dato dimezzatosi nel 2004 (8,5%), rischiando, così, di essere superato dal Fronte Nationale (8,1%) di estrema destra. Alle politiche del 2007, gli ecologisti valloni sono passati dal 3,1 al 5,1% dei consensi, raddoppiando, così, i propri seggi da 4 ad 8.

LA FORZA DEL CONSOCIATIVISMO

5.1 Consociativismo e modello consensuale in pillole

Il consociativismo viene comunemente definito come una forma di governo nella quale viene garantita la rappresentanza dei diversi gruppi che compongono un paese. Questo termine viene spesso adottato in quelle situazioni di conflitti interstatali che sorgono in comunità nazionali profondamente divise per ragioni storiche, linguistiche, etniche o religiose. Se infatti nella scienza politica il termine “consociativismo” introdotto nel 1968 è equivalente a quello di “democrazia consensuale” e quindi senza alcuna connotazione di valore, in Italia, in particolare dagli anni ’90, “l’espressione è fatta valere, in senso per lo più dispregiativo, per qualificare pratiche spartitorie e di lottizzazione del potere politico, esperite attraverso un accordo che coinvolge tutti i maggiori partiti”. Sempre con lo stesso termine, seppur con un senso più ampio, nel nostro paese consociativismo è sinonimo di un accordo che coinvolge i maggiori partiti “con l’obiettivo di costituire esecutivi stabili nell’ambito di politici fortemente frammentati in una pluralità di rappresentanza parlamentare”, un tipo di accordo che può prendere forme diverse (Lo Prete,2008,5). Siamo ancora distanti dal senso che Lijphart dà alla parola “consociativismo”, intesa dall’autore come modello di democrazia rappresentativa. Le istituzioni “consensuali” di questo modello di democrazia differiscono, già nel fondamento teorico, da quelle maggioritarie tipiche dei sistemi anglosassoni. Se secondo queste ultime, dice Lijphart, il termine democrazia va inteso come “governo della maggioranza del popolo”, per le prime risulta ben più calzante la formula usata da sir Arthur Lewis, premio Nobel per l’economia, secondo cui in democrazia “tutti quelli che sono toccati da una decisione dovrebbero avere la possibilità di partecipare direttamente o tramite dei rappresentati eletti”. Quello del “chi vince governa” non sarebbe dunque un criterio ottimale, perché “escludere i gruppi perdenti dalla partecipazione al processo decisionale è una evidente violazione del significato originario di democrazia”. Questo è, a detta di Lijphart, tanto più vero quanto più ci si muove all’interno di società plurali, divise cioè in modo netto

da fratture di carattere religioso, culturale od etnico, “che determinano sottogruppi praticamente separati, organizzati attraverso partiti, gruppi di interesse e mezzi di comunicazione” propri. “In queste situazioni il governo maggioritario si rivela non soltanto non democratico, ma anche pericoloso, poiché le minoranze alle quali si nega l’accesso al potere si sentiranno escluse e discriminate, e perderanno la loro fedeltà al regime”. Se quindi in questi casi la regola maggioritaria pura e semplice porterebbe, secondo questo tipo di ragionamento, alla dittatura della maggioranza e addirittura alla guerra civile, quel che serve è un “regime democratico che ponga l’accento sul consenso più che sull’opposizione, che includa più di escludere e che tenti di allargare al massimo le dimensioni della maggioranza di governo, anziché accontentarsi di una maggioranza risicata”. Uno stato basato sul modello consensuale pone come suoi obiettivi fondamentali la stabilità della propria attività governativa, la sopravvivenza degli accordi di divisione del potere e della democrazia ed evitare la violenza politica. Come abbiamo visto in precedenza, la storia politico – istituzionale belga è stata ricca di scontri e aspri conflitti tutt’ora in corso. Ad ogni modo, nella sua ultima edizione di “Le democrazie contemporanee”, sin dalle prime pagine, il famoso politologo olandese Arendt Lijphart annovera il Belgio (insieme a Svizzera, Olanda e Austria ) tra i “prototipi” del modello consensuale. Lijphart con il suo studio condotto anche in una prospettiva valutativa dei quattro casi classici delle democrazie consociative, elabora un’idea normativa sulla stabilità politica degli stati multietnici. Questa stabilità viene garantita da quattro fattori principali, il primo e il più importante dei quali è il governo con larghe coalizioni dei leader politici che rappresentino tutte le comunità significative. Gli altri tre sono: il potere di veto delle minoranze nella legislazione che tocca i loro interessi vitali, il principio di proporzionalità in tutte le sedi rilevanti, e un’alta autonomia nella gestione dei diversi segmenti della società. Come lui stesso afferma il messaggio del suo libro alle élites politiche sarebbe quello di incoraggiarle a “diventare ingegneri consociativi” (Lijphart, 1977, 223). Le critiche rivolte a questo approccio hanno sottolineato la debolezza che sta nel considerare principalmente l’interazione tra le élites, ma ignora gli strati più larghi della popolazione e nella sua tendenza di “congelare le relazioni etniche, facendo delle divisioni culturali la base della vita politica e delle istituzioni. E così, si potrebbe affermare, può promuovere le divisioni culturali.” (Ryan 1995,18).

Il politologo olandese afferma infatti senza mezzi termini che “poiché il rendimento complessivo delle democrazie consensuali è chiaramente superiore a quello delle democrazie maggioritarie, la prima delle due opzioni rappresenta un orientamento particolarmente attraente per i paesi che disegnano il loro primo impianto costituzionale democratico, o per quelli già da tempo democratici che contemplano la prospettiva delle riforme costituzionali” (Lijphart, 2001,321-322). Più nei dettagli, Lijphart elenca 10 caratteristiche che delineano il modello consensuale e che qui di seguito commenterò in relazione al caso del Belgio.

5.2 Le caratteristiche del modello consensuale applicate al caso belga

Le prime 3 caratteristiche sono la condivisione del potere esecutivo attraverso grandi coalizioni, sistema multipartitico e rappresentanza proporzionale. In contrasto con la tendenza, che è tipica del modello anglosassone, ad accentrare il potere esecutivo in governi monocolore, il principio consensuale consiste nel permettere a tutti i maggiori partiti di condividere il potere esecutivo, grazie alla formazione di ampie coalizioni. In tutto il dopoguerra ci sono stati solo 4 anni di governo monopartitico, e dal 1980 tutti gli esecutivi sono stati sostenuti da coalizioni formate da minimo quattro partiti. Questo dipende anche dal fatto che nessuna delle formazioni politiche presenti in parlamento riesce ad arrivare ad una posizione di maggioranza; il sistema multipartitico è infatti “estremo”, a maggior ragione dopo che tutti i partiti si sono suddivisi in raggruppamenti linguistici.

L’emergere di un sistema multipartitico così frammentato può essere spiegato da due fattori: il primo, già illustrato, è la presenza di una società plurale; ciascuna delle “società nella società” cerca di trovare una sua propria rappresentanza e rappresentazione partitica. Il secondo fattore che spiega l’affermazione di questo sistema multipartitico si lega al sistema elettorale proporzionale presente nel paese. La quarta caratteristica è il bilanciamento tra esecutivo e legislativo. Pur avendo il Belgio una forma di governo parlamentare assimilabile a quella inglese, con un esecutivo che dipende dalla fiducia del parlamento, tuttavia i governi belgi non sono affatto in una posizione di predominio comparabile a quella dei casi di democrazia maggioritaria, soprattutto perché, spesso, si tratta di ampie coalizioni con una limitata compattezza interna. Essi tendono così a stabilire con il parlamento una vera e propria relazione di do ut des. La quinta caratteristica è data dal corporativismo dei gruppi di interesse. Nel paese, secondo Lijphart, sono presenti “i tre elementi fondamentali del corporativismo: la concertazione tripartita, gruppi di interesse relativamente limitati nel numero e ampi e il predominio delle associazioni di vertice”. La sesta caratteristica è data dalla presenza di un governo federale e decentrato. Come abbiamo visto nel cap. 3, il processo di “devolution”, cioè di decentramento del potere, inizia in Belgio nel 1970 e dopo 25 anni, nel 1995, il paese diviene uno stato federale, come risultato di accordi raggiunti nel 1993. I differenti livelli di autorità nella struttura federale sono quattro: lo stato federale, con competenza per politica estera, difesa, giustizia e le altre residuali, cioè tutte quelle che non sono degli altri livelli; le tre comunità definite in base a un criterio linguistico culturale (francese, fiammingo,tedesco) con competenze in materie culturali e di educazione, ma anche di sanità e politiche della famiglia; le tre regioni (quella fiamminga, quella vallona e quella di Bruxelles-Capitale), ciascuna con il proprio parlamento e governo, si occupano di politica economica, occupazione, trasporti; infine le province. Il settimo elemento del modello lijphartiano è dato da un forte bicameralismo. Tra gli obiettivi del modello consensuale, è bene ripeterlo, quello di assicurare una particolare rappresentanza perfino alle minoranze, affinché nessun settore significativo della società sia escluso dal processo di decision-making. E’ proprio questo, nell’ottica di Lijphart, il motivo che giustifica l’istituzione di un parlamento bicamerale. Il politologo ammette però nel caso del Belgio che il nuovo Senato, eletto nel 1995, certo “rappresenta in modo specifico i due gruppi linguistico – culturali, ma è ancora largamente costituito su base proporzionale e non offre alcuna sovra rappresentazione alle minoranze francofona o fiamminga. Dunque il nuovo parlamento federale belga costituisce un esempio debole, e non uno forte, di bicameralismo”. L’ottavo ed il nono elemento sono dati dalla rigidità costituzionale e dal controllo giurisdizionale di costituzionalità. Il Belgio ha, come tutti i paesi appartenenti alla categoria delle democrazie consensuali, una costituzione scritta e rigida, un documento cioè che può essere modificato soltanto da decisioni a maggioranza qualificata. Le “super-maggioranze” richieste e necessarie per emendare la legge fondamentale sono una garanzia, per i gruppi minoritari, che i loro diritti vengano in ogni caso garantiti. La minoranza vallone ha, in Belgio, un vero e proprio potere di veto, soprattutto per quanto riguarda le leggi relative all’organizzazione dei poteri tra le comunità. Conseguente a questa rigidità costituzionale è in genere la presenza di un ulteriore garanzia di rigidità delle norme fondamentali, cioè un controllo giurisdizionale di costituzionalità; un controllo che è rimasto assente in Belgio fino al 1984, quando fu inaugurata la nuova Corte di Arbitraggio. Nonostante la sua principale responsabilità fosse in principio quella di interpretare i dettami costituzionali in materia di separazione di poteri tra governo centrale, governi regionali e comunità locali, la sua autorità si è progressivamente ampliata ed oggi la Corte di Arbitraggio può essere considerata una vera e propria corte Costituzionale. L’ultima peculiarità è rappresentata dall’indipendenza della Banca centrale. L’autonomia della banca nazionale del Belgio è stata “notevolmente rafforzata nei primi anni novanta, all’incirca all’epoca della transizione verso un sistema federale, ma soprattutto in virtù del trattato di Maastricht, siglato nel 1992 e ratificato nel 1993, che obbligava gli stati membri dell’Unione Europea a rafforzare l’indipendenza delle rispettive banche centrali”.

5.3 Il ruolo delle istituzioni nella democrazia consensuale

Quasi tutti i caratteri principali del modello consociativo li ritroviamo piuttosto fedelmente nella recente storia belga, quantomeno a partire dagli anni ’50 con la “seconda guerra scolastica” che portò alla stipulazione del pacte scolaire A livello teorico esistono però due limiti al modello di Lijphart. Il primo, di cui sembra rendersi conto lo stesso Lijphart, riguarda il bicameralismo belga. A differenza dell’idealtipo consensuale, il Senato belga non costituisce un contrappeso federale della camera bassa. Il secondo limite è che nulla può dimostrare definitivamente che “i governi belgi non sono affatto in una posizione di predominio comparabile a quella dei casi di democrazia maggioritaria, soprattutto perché, spesso, si tratta di ampie coalizioni con una limitata compattezza interna. Essi tendono così a stabilire con il parlamento una vera e propria relazione di dare e avere”. Il regime parlamentare belga si è effettivamente stabilizzato, superando conflitti che altrove avrebbero rimesso in causa la sopravvivenza stessa dell’entità statuale, ma “occorre anche ricordare che questo è avvenuto mettendo la sordina ad alcuni dei meccanismi formali del parlamentarismo, e che le camere risultano le principali vittime degli accordi politici della democrazia consensuale”(ULB,2004,92). Evidenzieremo quattro tra gli elementi che storicamente possono spiegare la transizione del Belgio ad un modello di democrazia “mite e serena”. Tre di questi sono apertamente presi in considerazione da Lijphart e dai teorici della democrazia consensuale: la predisposizione delle élites politiche nazionali alla negoziazione ed al compromesso, l’attuazione di meccanismi di concertazione sociale “neo-corporativisti” che permettono di spostare quasi del tutto i conflitti socio-economici al di fuori delle aule parlamentari ed infine il processo di federalizzazione progressivamente avviatosi negli anni Settanta e giunto ad una prima stabilizzazione complessiva nel 1993. C’è un ultimo – ma non per questo meno importante – fattore che ha contribuito alla stabilizzazione del parlamentarismo belga, “passato sotto silenzio dalla teoria consociativa”. Lijphart ed i suoi discepoli, pur sottolineando l’importanza dei meccanismi informali nelle democrazie cosiddette complesse, hanno dedicato poca attenzione alle strutture para-istituzionali che si sono progressivamente costituite per sistemare alcune questioni a margine del sistema parlamentare”(ULB,2004,97). Non basta dire che i meccanismi neo-corporativisti consolidano il regime; è necessario anche ricordare come l’inclinazione al compromesso, generando forme parallele di gestione della politica, tenda a concentrare il potere nelle mani dell’esecutivo, accentuando la marginalizzazione del parlamento piuttosto che generando una “relazione di dare e avere” tra i due poteri in questione. L’esperienza belga, così caratteristicamente consensuale, ci permette di evidenziare le possibili distorsioni tutt’altro che democratiche che il modello prediletto da Lijphart può generare.

5.4 La democrazia consensuale nei conflitti linguistico – culturali

La tesi di fondo, che certo meriterebbe una analisi – anche comparativa – maggiormente approfondita, è che la società belga, anche in ragione del suo modello istituzionale consensuale, assomigli sempre più ad una società frammentata piuttosto che a una società pluralistica. Per spiegare ciò occorre ripercorrere brevemente alcune tappe dell’evoluzione dei cleavages nella storia del paese. Il modello consociativo in Belgio si perfeziona subito dopo la Seconda Guerra mondiale, ma affonda le sue radici all’indomani dell’indipendenza del paese. Il sistema di partiti politici che emerse nello stato unitario, pur rafforzando l’unità belga, fu sin dall’inizio caratterizzato dalla presenza di tre partiti principali, alla testa ciascuno rispettivamente di tre “pilastri” politici. Questi pilastri sono nettamente distinti ed isolati tra di loro al livello delle masse popolari, mentre le loro élites politiche si ritrovano spesso e volentieri a negoziare i rapporti reciproci ed i destini del paese.

Un ruolo importante lo hanno svolto i cambiamenti socio-economici ed i rivolgimenti nella composizione della forza lavoro, con il conseguente allentamento di legami organizzativi ed ideologici all’interno dei grandi partiti e tra i loro elettori, con la possibilità dunque – per nuovi attori – di mobilitare degli elettori non più allineati. Negli anni ’50 e ’60 le Fiandre furono protagoniste di un boom economico vero e proprio, dovuto in particolare all’arrivo di capitali ed investimenti esteri, soprattutto statunitensi. Nello stesso lasso di tempo l’industria pesante della Vallonia subì invece un tracollo: tra il 1955 ed il 1972 il numero di addetti valloni nel settore estrattivo – carbonifero calò da 92.000 a 12.000 individui. Tali cambiamenti “trasformarono la percezione dei gruppi etno-regionali in Belgio” (Newman,1996): da una parte rafforzarono i fiamminghi, tra i quali si diffuse l’idea che lo stato belga – dopo aver per anni rappresentato gli interessi dei francofoni – ora usasse i soldi fiamminghi per sussidiare la regione meridionale del paese; dall’altra parte tali cambiamenti ingrossarono le fila di una classe media salariata, ideologicamente meno schierata e compatta, potenzialmente pronta a sostenere nuovi soggetti elettorali.

In secondo luogo l’accresciuta attenzione da parte dello stato centrale a questioni di politica regionale. La prima legislazione belga tesa a promuovere lo sviluppo economico a livello regionale (1959), come pure la serie di leggi approvate tra 1962 e 1963 a proposito della politica linguistica da adottare, hanno portato al centro del dibattito pubblico le questioni “etno-regionali”, favorendo nuovi attori partitici che proprio su queste tematiche fondavano la propria essenza. A lasciare però le porte aperte ai rigurgiti etno-regionalisti contribuisce in larga parte un terzo fattore: l’assetto neo-corporativista che la politica belga ha assunto nel tempo. I compromessi raggiunti all’indomani della seconda guerra mondiale tanto in materia di politica economica e sociale, quanto in materia di laicità, hanno diminuito drasticamente i punti di disaccordo tra i partiti maggiori, lasciando ampie praterie politiche che i nuovi soggetti etno-regionali, presentandosi come realmente alternativi, hanno potuto percorrere con successo. Questo ordine di fattori è, alla base dell’affermarsi di partiti come il Volksunie, il Vlaams Belang ed il Front Démocratique des Francophones. L’affermarsi di tali partiti costituì un serio pericolo per il modello consociativo. L’attacco allo stato centralizzato si tradusse infatti, in primo luogo, in una perdita di consensi dai partiti tradizionali. Nel modello consociativo l’elemento di fluidità dell’elettorato non è solo all’origine di relativi successi o insuccessi dei partiti da sempre affermati, ma la causa scatenante di maggiori difficoltà nel portare a termine certi accordi e compromessi sui quali il sistema – lo abbiamo visto – si fonda.

Una volta che però il sostegno per questi nuovi soggetti si stabilizza, essi vengono accettati nel processo di contrattazione consociativa. Per loro si tratta di un’arma a doppio taglio. Da una parte i movimenti etno-regionalisti riescono a realizzare l’obiettivo principale che si erano prefissi: la federalizzazione dello stato belga. Dall’altra parte, una volta affievolitesi le richieste ideali più pressanti e una volta che le élite vengono cooptate nel modello istituzionale consociativo, gli elettori perderanno le motivazioni per sostenere tali partiti. “Inevitabilmente le leadership dei partiti etnoregionali devono scendere a compromessi con gli attori di tutto lo spettro del sistema, anche al costo di identificarsi con le posizioni di altri soggetti e di iniziare ad apparire “come tutti gli altri partiti” proprio a quegli elettori che li avevano sostenuti per il fatto che sembravano differenti da tutti gli altri potrebbero pure perdere la loro immagine di portavoce per cause etno-territoriali” (Rudolph,Thompson.1985,301). A questo punto si potrebbe ritenere che il modello consociativo, a seguito della riforma federale e quindi della autonomizzazione dei segmenti – per utilizzare la terminologia di Lijphart –, sia giunto al suo perfezionamento. Come si potrebbe ritenere che lo stesso modello abbia funzionato a dovere, facendo rientrare “nei ranghi” i partiti etno-regionalisti e le loro rivendicazioni centrifughe e potenzialmente destabilizzatici per il paese. In realtà è in questo momento, siamo alla metà degli anni ’80, che vengono gettati i semi per un rigurgito di indipendentismo fiammingo, questa volta spesso associato a velleità populistiche e razziste. Nel momento in cui ogni regione, a seguito della avvenuta riforma dello stato, inizia ad esercitare i poteri che gli spettano, ogni altra regione è come se di volta in volta si sentisse minacciata. Il governo federale diviene l’arena in cui regolare i conti. La disputa maggiore è quella riguardante il finanziamento dei programmi regionali, ma ve n’è anche un’altra, relativa alle licenze sulle armi da fuoco, che in realtà nasconde dissidi sulla definizione delle competenze nazionali e regionali, oltre che dissidi di natura economica.

CONCLUSIONI

Il Belgio si presenta oggi come un sistema federale estremamente complicato. Il paese, che trovandosi in una posizione strategica ed essendo circondato dalle grandi potenze europee, ha subìto gli effetti della diplomazia e dell’ingegneria politica europea durante il XIX secolo e si è evoluto in uno stato nel quale il processo di formazione del nation-state ha avuto un corso travagliato e, secondo molti, ancora oggi inconcluso. La nascita dei regionalismi (in particolare del movimento fiammingo sorto per salvaguardare gli interessi della popolazione del nord del Belgio che pur essendo più numerosa, subiva forti discriminazioni da parte delle élites francesi) e l’attenzione verso le questioni linguistiche sono state prima l’incipit poi il motore del processo di federalizzazione. L’evoluzione politico-istituzionale che iniziò negli anni ’60 ha portato il paese dall’essere uno degli stati più centralizzati d’Europa ad uno dei più decentrati del mondo. Dal 1993 il Belgio divenne a tutti gli effetti, uno stato federale composto di tre comunità (fiamminga, francese e germanofona) dotate di propri consigli ed esecutivi (Vlaamse Rande nelle Fiandre e Parlement Wallon in Vallonia nel quale è anche rappresentata la comunità germanofona) e tre regioni (fiamminga, vallone e di Bruxelles capitale). La regione di Bruxelles – capitale presenta un’organizzazione istituzionale molto complessa dovuta alla sua natura bilingue e dal fatto che sia, di fatto, un’enclave nel territorio fiammingo nel quale in realtà la popolazione di lingua neerlandese è una minoranza.

Fin dalla riforma del 1980 il federalismo à la belge ha assunto un impianto tipicamente duale nel quale le competenze esclusive prevalgono a quelle concorrenti e i diversi livelli di governo sono resi responsabili per l’intera gestione delle proprie materie, dalla gestione all’implementazione (Ventura, 2008,57). Nel capitolo 3 abbiamo visto come l’evoluzione federalista ha portato le regioni e le comunità ad avere sempre un maggior grado di autonomia riducendo lo spazio d’azione del governo federale. Attualmente il governo federale esercita competenze su servizi ed infrastrutture essenziali come le politiche monetarie e fiscali, il bilancio ed i trasporti mentre le comunità hanno competenze sulle questioni culturali e linguistiche, sulle materie “personalizzabili” e sulla previdenza sociale, pur essendo quest’ultimo punto oggetto di continue dispute fra i rappresentanti delle rispettive comunità. Una particolare caratteristica che mostra l’alto livello di decentramento riguarda tutte le competenze non esplicitamente riconosciuti dall’autorità federale definiti come “poteri residui” che sono competenza di comunità e regioni. Il sistema delle entrate belga si è delineato verso il federalismo fiscale, nel grado in cui le quote attribuite alle entità federate sono state progressivamente poste in relazione con la ricchezza da esse prodotta secondo il principio del juste retour fortemente rivendicato dai fiamminghi (Ventura,2008,59).

Il sistema partitico è stato modellato lungo questo processo di federalizzazione. A livello politico, i partiti si sono separati lungo linee linguistico – culturali creando due sistemi partitici distaccati che hanno reso il processo di formazione di governo uno tra i più prolissi e travagliati della politica europea. La presenza di due sistemi partitici separati, fiammingo e francofono, conseguente alla scissione dei partiti tradizionali ed allo sviluppo dei partiti nazionalisti che hanno reso inevitabile per tutti i partiti una corsa al rialzo in difesa delle ragioni della propria parte, rende difficile la creazione di un governo federale responsabile nei confronti dell’elettorato. I partiti fino a questo momento sono stati in grado di tenere sotto controllo grandi tensioni attraverso la creazione di coalizioni congruenti ma non sono stati in grado di rispondere alle richieste dell’elettorato portando il sistema verso una forte instabilità. Riguardo alle debolezze del sistema belga che questo elaborato ha preso in considerazione, i nuovi governi non hanno dimostrato di essere più forti delle vecchie élites politiche ma piuttosto di essere incapaci di tenere sotto controllo l’emergere di nuove spinte centrifughe.

Riguardo ai meccanismi di cooperazione che permettono ad una società così eterogenea di avere un sistema di decision-making condiviso, la parità linguistica costituisce un principio alla base di alcune importanti forme di cooperazione e riflette l’idea di un Belgio bipolare, fondato sulla convivenza di due comunità. La parità linguistica investe la formazione del governo (un egual numero di ministri fiamminghi e francofoni) e la formazione delle leggi: per i progetti di legge concernenti materie sensibili fu previsto il necessario consenso della maggioranza di entrambi i gruppi linguistici nonché la possibilità di bloccare un provvedimento considerato lesivo (la cosiddetta sonnette d’alarme) (Ventura,2008,62).

Gli effetti del processo di federalizzazione in Belgio si sono manifestati trasversalmente nella società. Sempre più progressivamente, i cittadini hanno acquisito la coscienza di appartenere ad una nazionalità che non rispecchia totalmente l’entità statale che li rappresenta. Questo punto debole è insito nella struttura stessa del sistema politico ed è data dal fatto che non esiste una gerarchia politica al suo interno. Probabilmente si continuerà a cercare di tenere sotto controllo le tensioni linguistiche adottando nuove strategie consociative a livello federale e lasciando i partiti liberi di concentrarsi sulla competizione nell’arena regionale, dove invece si riesce a mantenere una certa stabilità. In quest’ottica, il governo federale rimarrebbe quindi semplicemente un organo prettamente coordinatore, un guardiano svuotato ormai di tutti quei poteri che solitamente appartengono ad uno stato centrale, mantenendo però il ruolo fondamentale di pacificatore dei conflitti.

Ad ogni modo è necessario specificare come le teorie riguardanti una possibile separazione, in particolar modo quelle proposte dai nazionalisti fiamminghi (secondo un sondaggio recente il 45% dei fiamminghi accetterebbe la separazione), non prende in considerazione il panorama ex post di un evento di tale portata. E’ evidente l’impronta della volontà di parte fiamminga di concretizzare attraverso l’autonomia istituzionale e l’omogeneità linguistica una vera e propria nazione fiamminga, con propri organi di governo e con gli strumenti per gestire autonomamente il proprio sviluppo economico e sociale (Ventura,2008,66).

Durante la mia ricerca ho riscontrato come gran parte dei politologi e sociologi che hanno analizzato i conflitti interni allo stato belga siano quasi sempre partiti dal presupposto che questa società fosse un prodotto mal riuscito della storia dell’Europa occidentale e che inevitabilmente le ostilità che attanagliano il paese verranno risolte solo con una separazione finale delle due maggiori comunità linguistiche. Seguendo un approccio più europeista credo sia possibile proporre una visione alternativa del caso ed osservare il Belgio non come il non plus ultra di un errore di ingegneria politico-diplomatica ma di un prototipo di convivenza consensuale che, nonostante molteplici brecce e continue sfide, funziona e mantiene unita una società fortemente eterogenea. Non è proprio questo il modello che Spinelli, Monnet e Delors auspicavano per il futuro dell’Europa? Un luogo in cui gli interessi e le differenze vengono rappresentate e non prevaricate ed è possibile impostare un dialogo costruttivo per il futuro. Il Belgio si é dimostrato fino ad ora come uno stato nel quale è possibile avere un apparato amministrativo in continua evoluzione, senza prevaricazioni né diktat, e nel quale le esigenze delle diverse comunità linguistiche sono state rispettate. Le sfide che attendono il paese nel futuro saranno probabilmente ancora improntate sulla questione linguistica e delle competenze delle comunità e regioni. Ad ogni modo abbiamo visto come l’evoluzione istituzionale dello stato attraverso politiche consensuali può rendere la situazione socio-politica imprevedibile agli occhi del ricercatore.

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